martedì 30 novembre 2010

Del tempo 2

In una scena del film "Le jardin de Celibidache", si vede il M° durante una lezione che disegna alcune strane figure, come alberi, distanziati tra loro. E' una rappresentazione semplice ma efficace del suono col suo "corredo" di armonici e risonanze. La massa sonora prodotta dallo strumento o dall'insieme degli strumenti, o voci, si espanderà nella sala ove avviene l'esecuzione e ne subirà ulteriore amplificazione o modificazione. Dunque i suoni, nella loro interezza, non dovranno raggiungere gli ascoltatori troppo ravvicinati tra loro, altrimenti una parte della ricchezza del suono andrà a sovrapporsi a quella del suono successivo. In questo caso si avrà la sensazione di un tempo eccessivamente rapido. Se invece tra le "chiome" dei suoni sussiste dello spazio vuoto, ovvero c'è una decadenza del fenomeno sonoro prima del suono successivo, l'impressione sarà quella di un tempo troppo lento.
Fin qui la teoria. Di fatto quanti realmente fanno riferimento a questi criteri? Pensiamo ai tanti "filologi" che si accapigliano per stabilire se vanno o meno osservati i metronomi messi (postumi) da Beethoven alle proprie sinfonie. Ma dove e quando si possono osservare indicazioni metronometriche? Praticamente mai. Il metronomo non fa parte del processo musicale, è uno strumento esterno, e non può "piegarsi" alle esigenze dell'ambiente in cui viene eseguito un brano. Ma ci sono altre questioni. Quanti sono in grado di cogliere realmente la ricchezza, la "pressione verticale" durante un'esecuzione? Nell'educazione musicale ben raramente si parla di armonici, a livello pratico, e ben raramente si cerca di allenare le orecchie dei discenti a coglierli. Dunque, chi sa ascoltare tutta la massa sonora che può provenire da un complesso strumenatale, saprà anche individuare con più proprietà qual è il "tempo giusto" di esecuzione. Chi si rifà solo a indicazioni teoriche, chi decide a tavolino (ricordo nella trasmissione "orchestra" Georg Solti che, al pianoforte, decideva che il Don Juan di R. Strauss cambiava parecchio spostando anche solo di una tacca il metronomo. E' possibile che un pianoforte e un'orchestra in ambienti del tutto diversi, possano essere così simili da offrire lo stesso risultato in termini di leggibilità musicale? Se anche, per caso, lo fossero, è possibile impostare un lavoro di determinazione del tempo in tal modo? Ritengo di no.) evidentemente non usa le orecchie per far musica ma vorrebbe assolutizzare il processo, dimenticando la regola principale, e cioè che la musica nasce e muore mentra la si fa, non può essere progettata a priori se non a grandi linee. Prima di tutto bisogna avere l'orecchio molto ben allenato, così da sentire tutto ciò che c'è da sentire, o almeno tutto il possibile che il percorso educativo consenta. In secondo luogo bisogna studiare bene il luogo ove si esegue un concerto, nella condizione più simile a quella di esecuzione. Nonostante ciò ricordiamo che tutto si deciderà sul momento, perché le condizioni climatiche, la quantità di pubblico, le condizioni degli esecutori e mille altri imprevisti potranno far variare, poco o tanto, queste condizioni, quindi il direttore che non esegue meccanicamente, ma facendosi guidare dal proprio esperto orecchio, potrà ulteriormente variare il tempo di esecuzione sì da renderlo il più "giusto" possibile, ovvero tale per cui tutta la ricchezza sonora del brano possa giungere agli ascoltatori in sala.
Il problema non è ancora risolto. Un brano può iniziare con note molto lunghe e distanti tra loro, ma nel corso del suo dipanamento può arrivare a mettere decine di note vicinissime tra loro (come una fuga, ad es.). Dunque come si decide il tempo in questi casi, visto che non si può pensare di iniziare rapidamente e poi rallentare, anche se una minima variabilità è possibile, sempreché non ci abbia già pensato l'autore a dare indicazioni in merito. Come si era già detto all'inizio, si parla di pressione verticale, dunque il punto da prendere in considerazione sarà quello con la maggior pressione (che non è necessariamente quello con più note, perché non è detto che tante note producano tanti armonici, questo è anche un problema di dinamica).

giovedì 25 novembre 2010

Del tempo

Uno degli argomenti chiave della fenomenologia della musica celibidachiana riguarda il tempo di esecuzione di un brano. E' un argomento complesso e richiederà forse qualche post.
Una domanda: è lo stesso parlare di "velocità" di esecuzione e di "tempo"?
No, non è la stessa cosa. Quando parliamo di velocità noi ci riferiamo a un dato esterno alla musica. Se noi cronometriamo la durata di un brano, o misuriamo la velocità con un metronomo, facciamo riferimento a strumenti e dati che non stanno nella musica. Il tempo, invece, appartiene all'esecuzione. Esso si può definire "una condizione" della musica. Una condizione alquanto difficoltosa da cogliere, e infatti su di esso si scrivono e si dicono le cose più oscene, giudicando questa o quella esecuzione come "lenta" o "veloce" o "giusta" senza aver alcun quadro di criteri a cui riferirsi, ma soprattuto senza aver quella cultura e sensibilità uditiva necessaria per saper cogliere tutti gli elementi che permettano realmente di cogliere quando un'esecuzione rispetta il giusto tempo. In questo argomento si rivela anche la motivazione fondamentale per cui Celibidache era così contrario alla registrazione discografica. Perché un brano possa rivelare la sua essenza musicale, esecutore e ascoltatore devono condividere lo stesso spazio, lo stesso ambiente. Solo in questo modo è possibile cogliere da parte dell'ascoltore se il tempo stabilito dall'esecutore è corretto. Il tempo è quella condizione che permette a tutti gli elementi della composizione di trovare la giusta relazione tra loro. Esiste il tempo giusto? Certamente. Esiste il tempo di esecuzione giusto in assoluto? NO! Molti detrattori di Celibidache, che non hanno mai approfondito il discorso fenomenologico, hanno spesso ritenuto che egli, quando parlava di Verità e di esecuzione perfetta si riferisse a un'esecuzione modello, buona per ogni occasione. Niente di più falso. Ogni brano musicale nasce e muore ad ogni concerto e solo le condizioni di quel momento permettono di scegliere, definire, individuare il giusto tempo di esecuzione: hic et nunc. Nessuna registrazione potrà restituire le condizioni del momento e del luogo del concerto, dunque il tempo per chi ascolta sarà sempre un tempo "sbagliato". Una fotografia, che come tale non ha vita, giusto una testimonianza.

domenica 21 novembre 2010

... continuando

Per opere di ampio respiro, si può anche ipotizzare un PM diciamo Generale, di tutta l'opera, ma è evidente che per poterci appropriare di ogni sezione facciamo riferimento a ciò che avviene in ciascuna di esse. E' un po' quello che succede in una sinfonia in 4 movimenti: ognuno ha il suo PM, ma puoi esercitarti a cercarne uno che si riferisca alla sinfonia intera.

C'è una considerazione da fare a questo proposito: tutto sottostà ad un bisogno ineliminabile della nostra coscienza, l'articolazione.
Perché un fenomeno a lei esterno le risulti appropriabile deve essere articolato e quando la "massa" alla quale fai riferimento è troppo grande (estesa), automaticamente la articoli in sezioni.
Questo fa riferimento alla nostra natura, al nostro modo di stare in questa realtà fenomenica: è così e basta.

La psicologia della Gestalt ci aiuta moltissimo a "sondare" queste modalità di funzionamento della nostra "percezione" e la lettura di Ehrenzweg, aggiunge un taglio psicanalitico interessante a tutta la faccenda.
Insomma per i curiosi c'è materia di approfondimento, per chi si contenta,invece, l'escursione godimento/sofferenza oscilla fra " + 10 e - 10 ", se invece ambisci ad una pienezza di godimento "+ 1000 " devi ovviamente accettare che questo comporta il rischio di soffrire, anche "- 1000".
Forse è per questo che a molti questi (apparenti) discorsi - ma in realtà , suggerimenti e proposte per "vissuti" più appaganti in quanto più consoni alla nostra natura - risultano così tanto materia dalla quale difendersi.
Ma...

Se c'è una materia non prevista nei Conservatori di musica italiani questa è sicuramente l'educazione dell'orecchio.

Questo è un retaggio dell'approccio tutto da popoli neo-latini che trova la sua sintesi nella frase: "il talento o ce l'hai o non ce l'hai".
Insomma, qui si dice: "musica? è roba per ...talentati", anzi, se poco poco provi a fare discorsi di ...educazione dell'orecchio, sotto sotto vuol dire che talento, ...
uhm, ne hai poco (o non abbastanza - quasi che fosse "quantificabile").

Gli anglosassoni, più pragmatici, hanno sviluppato molti metodi per lo sviluppo dell'orecchio, arrivando anche a quello armonico.

Mi permetto di andare oltre.

Quando siamo arrivati non con gli occhi (leggendo cioè una pagina di musica e facendone "ad occhio" l'analisi armonica, dicendo ad esempio "qui siamo in do minore, poi qui modula a sib maggiore), ma con le ... orecchie a cogliere il dipanarsi delle armonie, questo che risultato pratico da un punto esecutivo genera nelle azioni dell'esecutore?

E ai fini dell'erleben, del vivere il processo come tragitto di coscienza, che ce ne facciamo di tutto questo?

Mi sono sempre chiesto ascoltando uno che suona o suona dirigendo o dirige suonando: "ma quello cosa "vive" del tragitto tensivo del brano se si capisce perfettamente da come suona che non sta vivendo i rapporti tensivi? che mi/ci sta suonando? In base a cosa ... suona, da dove a dove crede di starci portando se non sta facendo altro che una ... "corsa sul posto" perché non ha ancora risolto la prima articolazione, figuriamoci passare alla seconda?

Già è un grande passo avanti riconoscere la concatenazione I - IV - V - I, sia nelle tonalità maggiori che nelle tonalità minori(lavoro sistematico e quotidiano, necessario per chi, musicista, lo è principalmente attraverso la pratica di strumenti monodici).

Già riuscire a percepire sonata per sonata, sinfonia per sinfonia, quartetto per quartetto quando si è sul 1° quando sul 4° e quando sul 5° grado, è un passo avanti nella padronanza "tensiva" di una composizione, premessa ineliminabile se poi la si vuole anche eseguire e quindi renderne percepibile anche agli altri l'evolversi della "tensione".

sabato 20 novembre 2010

Perché è così importante il PM ?

Perché una volta individuato ci permette di comprendere da dove a dove il brano espande e da dove a dove ... contrae, distende.

Ora non bisogna pensare che la prima fase, l'estroversione, sia tutta in salita e la seconda, l'introversione, sia tutta in discesa.
Abbiamo già detto che affinché un fenomeno esterno a noi sia per noi appropriabile, deve avere una caratteristica fondamentale: deve essere articolato.
Bene. Allora l'andamento di ciascuna fase, sia l'estroversione che l'introversione, sarà articolato.
L'andamento sarà ad onde.

Questo che significa ?
Che il contrasto, per crescere e raggiungere il suo punto massimo, deve vincere la tendenza naturale di qualsiasi fenomeno: scomparire.
In qualche modo, facendo un esempio improprio: è come sollevare un oggetto pesante e poi lasciarlo cadere: vincere la forza di gravità, richiede più energia che assecondarla.
Allora per arrivare al PM bisogna vincere la tendenza a scomparire, tornare a zero, va con la tendenza naturale.
Ecco perché il punto massimo di qualsiasi composizione si colloca, generalmente, a 3/4 della composizione (questo aiuta nei casi ... dubbi o fuorvianti a capire se il tragitto dell'INTROVERSIONE è troppo o troppo poco per scaricare la tensione accumulata).

Questo è determinante, da comprendere, per un esecutore.
Quante volte, data la non comprensione di questo, accade che il brano è finito ma noi (ascoltatori) stiamo ancora ... ansimando perché l'esecutore ha "caricato" la sua esecuzione anche oltre il p.to massimo, o, caso contrario, ha distribuito male la dinamica e, molto prima della fine, abbiamo la sensazione che il brano sia finito e il resto ci sembra ridondante dato che la tensione, per come è stata esplicitata dall'esecutore, è finita, è terminata prima della fine sonora del brano.
Fare queste considerazioni è utile, aiuta a capire e comprendere meglio sia il compositore (può darsi che della cattiva gestione del processo tensivo, sia lui il responsabile) insomma è il brano che è scritto male; sia l'esecutore in quanto è lui che non ha capito e allora è ... impotente, incapace di padroneggiare il processo tensivo e il risultato è che fa casino!.

Allora : "interpretazione" o "ri-conoscimento " ?

Spie indicative e trabocchetti, inganni.
C'è la tendenza, specialmente quando si inizia a navigare per questi mari, a fare alcuni abbinamenti apparentemente logici, ma non musicali.
Ad esempio: beh , se tutti i parametri nel PM, arrivano al massimo, allora per quanto riguarda la dinamica, il PM coinciderà con il fortissimo.
Uuuuhm, at-ten-zio-ne!
Generalmente questo è vero per i classici, già i romantici lavorano ad un livello più sottile e allora, se un brano inizia nel fortissimo, c'è caso che il contrasto più forte da un p.to di vista dinamico sia fra il fortissimo iniziale e la zona pianissimo del PM. Non dobbiamo dimenticare che il PM è il punto di arrivo della tensione che è generata dai contrasti, quindi è il confronto che viene ad essere ... contrastato.
In questi casi quello che aiuta molto è la distanza armonica, la tonalità più lontana ( misurando per quinte ) alla quale si arriva rispetto all'inizio e il PM (sempre generalmente) è facilmente collocabile in una zona che precede il ritorno alla ripresa (non nel senso della forma sonata, ma di un ritorno a casa). Questo detto perché se analizzando si hanno forti dubbi sulla sua identificazione, un modulo ritmico o il ritorno alla tonalità iniziale fanno da spia che il PM possa essere ciò che di più teso precede questo "inizio del ritorno".
Un po' come i funghi detti "spie", sono quelli piccolini che fanno capire che ci troviamo in zona ... porcino.

Essendo il PM per definiziione "quel punto oltre il quale la tensione non potendo espandere torna indietro", è evidente che finchè c'è un contrasto forte la tensione non è esaurita ed ecco che in un concerto solistico, il momento del contrasto più forte sta nella cadenza.

martedì 26 ottobre 2010

La musica e le 3 domande fondamentali

(post del M° Napoli in forum 2005)

Da dove vieni, chi sei, dove vai.

Dare una risposta a queste tre domande è da sempre l'impegno più grande che l'uomo si sia proposto.
La musica, ed è questo uno dei motivi fondamentali per i quali ci affascina così tanto, è in grado di farci... esercitare, è un'ottima palestra per arrivare alla soluzione.

Il motivo che più profondamente ci lega al suono è il fatto che anche lui vive degli stessi rapporti fondamentali di cui vivono la coscienza umana e il mondo degli affetti: passato - presente - futuro.

Come si muove un brano di musica?

Avrà un inizio, attraverso una serie di contrasti espande il proprio tragitto tensivo e questa espansione continua fino ad un punto : il punto massimo, oltre il quale la tensione non potendo espandere, prosegue verso la quiete, con la volontà di ritrovare quella iniziale.

Questo tragitto della coscienza che avviene grazie alle corrispondenze fra coscienza e suono, rispetto alle tre famose domande , ha una caratteristica interessante: non ha bisogno che le risposte siano cercate, tutto è già lì, sott'occhio, disponibile ad essere vissuto nella sua interezza. Il brano è tutto scritto.

Abbiamo detto che il "talento" è la capacità di cogliere le relazioni: eccole lì, disponibili: inizio, espansione, fine. Ogni momento è conseguenza del precedente e premessa del successivo, ogni nota vive del rapporto col passato (tutto ciò che è stato il brano fino alla sua comparsa - della nota -) è se stessa nel presente e sappiamo già quale sarà il suo futuro, è scritto, le relazioni che rendono unico quel percorso le ha già vissute per noi il compositore e ora ce le propone per offrire anche a noi la stessa opportunità di libertà, di liberazione grazie alla comprensione

Per chi si accinge ad ascoltare un brano di musica, amatore o professionista che sia, è troppo ghiotta, quindi, l'occasione che la musica gli offre, di avere un ausilio per cogliere il senso dello stare al mondo, per non approfittarne, per lasciarsela sfuggire: disordinatamente o consapevolmente, poco importa, ma, quel che conta, è non veder andare sprecata la grande opportunità che la musica offre a ciascuno, singolarmente attraverso un linguaggio che quanto meno viene caricato di ... soggettività, tanto più è universale e quindi nella condizione straordinaria di poter parlare ed arrivare alla coscienza di tutti e di ciascuno allo stesso tempo.

Mi vien fatto di pensare che questo modo di vedere le cose, possa risultare troppo edificante per un'arte che in fondo, oggi ha il carattere di ... sottofondo.

A giudicare dai curricula che vengono presentati dagli aspiranti a supplenze in strumento musicale nelle medie o anche i più giovani che fanno domande nei Conservatori, è come se fossimo tornati alla funzione che la musica ha avuto per molti secoli: accompagnare gli eventi salienti dell'esistenza (prevalentemente dei "signori") salvo poi, dovendo passare il tempo ed essendo comunque ... stipendiati e a "libro paga", dover giustificare il proprio essere musicisti componendo... comunque anche altro.
I curricula infatti iniziano ad essere preoccupantemente, sempre più sustanziati da: matrimoni, funerali, funzioni religiose, feste di piazza, quelle che in napoletano sono da sempre definite bagarie o bagherie.
Ci si apetterebbe invece una polpa curriculare fatta di ... concerti, solo che è inutile far finta di non accorgersi che di ... concerti, non ce ne sono e quelli che ci sono sono autoorgrefenzsedicentati, intendendo con questo che: computer e fotocopiatrice per fare i programmi, parroco compiacente che mette a disposizione per pochi euro la sala parrocchiale o assessore che elargisce un po' di denaro pubblico a fini ... elettorali, amici, parenti e ... affini che giustificano l'esistenza ufficiale della mainfestazione e questo va ad incrementare ... curriculum.
Dove sono le stagioni accreditate e di conseguenza accreditanti, accessibili a giovani di talento, atte a costituire curriculum di ... sostanza musicale?
Tutt'al più molti, avendo capito questo, investono ... sulla carta dei programmi, perché alla fine il documento che resta è il depliant, allora una carta dall'apparenza sotanziosa e suggerente emozioni di validità musicale ... al tatto, va meglio. Patinata o cartoncino del tipo "Conqueror", fanno più punteggio del dove e del che cosa.

In questo ... clima come mi devo ritenere anche solo a ... proporre ... una riflessione sulle tre domande fondamentali attraverso la musica?

venerdì 10 settembre 2010

Il minuetto

Il Minuetto generalmente è così strutturato
un A e un B entrambi con ritornello (come la forma sonata alla "scarlatti")
TRIO
ancora un A e un B entrambi con ritornello
Minuetto da "capo" eseguendo l' A e B del Minuetto ma questa volta senza i ritornelli.
In pratica la forma ... per lungo, sarebbe:

MINUETTO ____ TRIO_________ Minuetto da capo
A - A1 - B - B1 / A - A1 - B - B1 / A - B

In base ai ragionamenti fatti fin qui su A e B, su tensione e distensione, su elementi di contrasto fra sezioni, su ... proporzioni fra tragitto dell'estroversione e tragitto dell'introversione, dove si potrebbe collocare il PM?
-- risposta di un utente:
Io direi tra B e B1 del Trio. La struttura per esteso sarebbe:
[minuetto]
A (che chiude un po')
A1 (di più di A e apre verso B)
B (più di A1 e chiude un po')
B1 (più di B ma non chiude e apre verso A del trio)
[trio]
A (che chiude un po')
A1 (più di A e apre verso B)
B (apre molto fino al PM)
B1 (smorza il PM e sarà 1/4 attenuato rispetto a B)
[ripresa minuetto]
A (2/4 attenuato)
B (3/4 attenuato: praticamente per sentirlo occorre uno speciale apparecchio acustico)

--- replica del M° Napoli: I momenti in cui ti sei un po' ... perso sono B e B1 del minuetto.

B del minuetto ha come un sua necessità di andare verso B1 e allora non può chiudere, diciamo che non forza troppo e B1, pur chiudendo, non avrà alcun cedimento da un punto di vista agogico, in pratica dovrà essere inesorabile e non cedere il tempo.

Intervento --- Non ho ben capito che vuol dire minuetto e trio.....ovvero il minuetto è una forma...e il trio (pure?).

--- R.: Sono schemi di danza. Praticamente era la discoteca dell'epoca. Prima un minuetto, poi un trio, poi si riballa il minuetto, poi una gavotta, poi una loure, poi si mangia qualcosa, poi un'allemanda (ma no! andava prima), etc...

Il trio è detto così, perché in genere rispetto ad un ... tutti strumentale, in questa parte rimanevano in tre a suonare (ad esempio: violino, viola, violoncello oppure tre fiati )

(altro modo, la strumentazione, per creare tensione... insomma il compositore acchiappa contrasti da tutte le parti e se ne serve a più non posso...)

R: ecco l' intervento da espulsione:
parto da un esempio: mozart sinfonia n°40 3°movimento, minuetto

io, senza leggere gli interventi iniziali avrei detto, per questo minuetto, PM in B' cioe dopo il trio non in questo. il trio mi sembra di andamento molto ... "placido..." rispetto alla ripresa del minuetto successiva, la figurazione è più scarna e gli interventi strumentali basati su un dialogo archi legni, mentre nel minuetto suona tutta l'orchestra. non solo, ma nelle 8 battute che precedono le 10 di finale, il tema si sovrappone tra i vari strumenti con ingressi ogni mezza battuta, quindi avrei situato il Pm in B' per queste ragioni .
cioe .. insomma vedo il minuetto come un brano tripartito in cui il trio dice alla tensione rimasta nella prima parte (precedente): "aspetta!", poi esso dice altre cose ... lasciandola ... "in caldo.." (quindi accumulando tensione per contrasto, aumentandola, ma senza risolverla in sè, nel trio) e poi riprende il tema del minuetto con la tensione della prima parte a cui si unusce quella di attesa generata dal trio. nel "da capo a fine" si aggiungera dunque altra tensione fino alla parte a canone (corretta l' espressione?) che non avendo successive ripetizioni colloca il PM in B'.

nelle 10 battute finali non si scarica tutta la tensione accumulata? un respiro,un bel levare, "allegro assai " attacca il 4° movimento...........


beh... è un fallo a gamba tesa con gioco fermo... ora mi aspetto il cartellino rosso con tre giornate di squalifica....
.........facciamo cartellino giallo dai..... con tanto di bella spiegazione dell' errore!

ciao ciao
Quando riascolti il minuetto dopo il trio, il senso che ne ricavi è di .....Ripresa, di già sentito, in qualche modo ciò che percepisci è il trio come contrastante.

La nota interessante è l'introduzione del concetto di "placido".
Al di là dell'essere il placido una categoria rigorosa, ma è cmq giusta l'opposizione.
E' proprio quel carattere ... placido a fare da contrasto.
La svista, diciamo così, è quella di pensare che PM voglia dire ... casino portato alle estreme conseguenze: non è detto. E' portare tutto al punto più estremo di distanza dall'inizio, se in qualche modo riesco a spiegarmi..., spero di essere sufficientemente chiaro...

E' interessante anche il pensare ai rapporti fra i movimenti dell'intera sinfonia.
Qui però, ripeto,decisivo è il fatto che ... riprendere (riascoltare in questo caso) il MINUETTO da capo, è ... attestare la sconfitta del processo di espansione della tensione: "...non potendo espandere oltre, torna indietro ..."

certo! e proprio da questo commento mi verrebbe d fare un uleriore indagine... appunto su queste relazioni. forse tranne la forma sonata originaria, "alla scarlatti", le altre due trattate fin ora appartengono ad un insieme piu complesso anche esso dotato di un PM.

una frase ha il suo PM - il periodo ha il suo PM - un movimento (forma) ha il suo PM - ... l' intera composizione ha il suo PM... e tutti sono legati in un tutto in modo che alla fine il PM risulti uno solo per ogni frammento che prendiamo... frase , periodo, (PM relativi nella dizione gia chiarita) intera forma...etc.
magari successivamente alla trattazione di altre forme... se l' argomento Pm ci interessa ancora, potremo vedere proprio i rapporti tra i vari movimenti di una intera sinfonia, suite o sonata... quando, come e perchè a volte un tempo "attacca subito", finisce sul V° grado, etc...

mercoledì 25 agosto 2010

repetita ... "non" iuvant - 2

Possibile contestazione:
"la mia risposta non parlava di maggiori o minori capacità dell'uditorio, ma di maggiori e minori possibilità di ascolto a differenza di oggi in cui esiste il mezzo di riproduzione.
La funzione della ripetizione nella forma sonata ha la stessa funzione che ha in qualunque altra forma. Si ripete un concetto quando lo si vuole sottolineare o rendere più comprensibile.
Anche uno standard Jazz ha spesso la ripetizione del tema per quanto semplice la forma esempio Autumn Leaves. Col tuo discorso si generalizza troppo... allora che senso ha ripetere le prime 4 battute di una canzone visto che già le abbiamo sentite... Inoltre la storia insegna che la teoria nella maggioranza delle situazioni segue la prassi codificandola ed ordinandola. Quindi non credo che la mia risposta sia contraddittoria. Il ritornello poi non è strettamente necessario, ripeto forse in una prima esecuzione poteva essere opportuno sottolineare gli elementi principali, nello sviluppo non è necessario perchè è lo stesso sviluppo ad essere una ripetizione ulteriore del materiale, ove l'interesse è concentrato sulla trasformazione e non sul profilo dei temi che si presume sia chiaro nella mente dell'ascoltatore.
Non credo regga il confronto specifico con il teatro, sono comunque forme linguaggi e sopra tutto sistemi percettivi diversi; il linguaggio si basa prima sulla ragione e poi sui sensi, la musica al contrario, non si può forzare un paragone in un campo per supportare una tesi in un altro... La differenza è: nel linguaggio un concetto devo capirlo e quindi può anche non essere necessario ripeterlo se capito, in musica oltre alla comprensione esiste il piacere, se un tema mi piace perchè non riascoltarlo? se non mi piace, magari riascoltandolo ci ripenso.
In ultima analisi partendo dall'ultimo concetto ritengo che non si possa neanche troppo generalizzare. Se un tema è bello magari va bene riascoltarlo per apprezzarlo meglio se fa schifo è inutile anche la prima esecuzione.
Certo nella sonatina in do di Clementi il ritornello è un inutile supplizio, ma vorresti dire che ti da fastidio riascoltare l'esposizione della K 550 di Mozart o che non ha senso? la risposta secondo me è proprio nei sensi, fai decidere loro di volta in volta."

R: Allora perché non ripetere ... due o magari tre volte o quattro e così via.
Non sono affatto d'accordo che la ripetizione serva a rendere più comprensibile un concetto, perché l'immediata domanda sarebbe, appunto, "e quante volte bisogna ripetere perché sia comprensibile?" E poi che facciamo, a seconda della capacità di ... comprendere dell'uditorio, il compositore scrive: "nota a margine: per un pubblico diseducato musicalmente ripetere 9 volte, per un pubblico musicalmente preparato non ripetere, il resto lo lascio alla vostra sensibilità e a come .. tira la serata, fate un po' voi, altrimenti mettetevi d'accordo con il pubblico e chiedetegli quante volte vogliono che ripetiate..."
capisci bene che posta in questi termini è ... comica.
Vogliamo provare allora a fare discorsi pertinenti, strutturali o continuiamo a restare nel campo del ... secondo me?(quanto all'esempio teatrale, sono d'accordo che non è esaustivo, ma era per offrire uno stimolo).
Quello che tu chiami generalizzare forse sarebbe la ricerca di leggi universali alle quali il caso singolo sottostà e non il contrario.
Comunque io non devo convincere nessuno, l'unica cosa che posso dire è che in musica la ripetizione... NON esiste.
Se ci pensi, il fatto che un evento segua un altro già fa la differenza, vuol dire che il secondo è fortemente condizionato dal fatto che nella tua coscienza il primo ha già lasciato una traccia.
Il problema immediato che si pone è come orientare quella che impropriamente chiamiamo ripetizione.
La cosa interessante che invece noto è che i dubbi e le obiezioni sono esattamente le stesse che anche io ho posto e che, in dieci anni di rapporto con Celibidache, ho visto immancabilmente porre da tutti i ... nuovi arrivati.
Quando i padri della chiesa si rifiutarono di guardare nel cannocchiale di Galileo Galilei, la risposta di Galileo fu: "indipendentemente dal fatto che voi guardiate o no nel cannocchiale, la luna è come è, "craterata", "bitorzoluta", ... imperfetta e certamente non corrispondente all'"ipse dixit" Aristotelico dei mondi perfetti.
Allora, se mai, la questione qui in ballo è il tentativo da parte di Celibidache e di qualche altro di passare dalla soggettività all'oggettività, potremmo dire dall'arbitrio al vero, ma se non ti scatta la curiosità o la voglia di lacerare il velo di Maja che ti si para davanti agli occhi, né un Raffaele qualunque né ancor più qualificatamente l'esperienza e il vissuto di un Celibidache potranno ... smuoverti dalla tua posizione.
Al di là della scelta che viene operata dall'esecutore, i miei scritti fino ad oggi stanno cercando una via per arrivare a definire se l'esecuzione musicale possa fare o no riferimento a criteri meno arbitrari, opinabili e aleatori; il discorso in gioco è quale sia il ruolo giocato dalla soggettività e quanto questa possa essere un ostacolo alla intercomunicabilità di un fenomeno.
Detto più semplicemente: quanto più un'interpretazione è tua, tanto meno sarà... mia e allora che elementi sono ineliminabili al di là della soggettività per far sì che io possa comprendere quello che tu stai facendo ?
Da un punto di vista tensivo/strutturale non ho capito io, invece, in chi difende il ritornello, che cosa ne giustifichi l'esistenza.
Possibile forte contestazione:
"Se un compositore ha scritto un ritornello perchè ci si chiede se farlo o meno? Se l'ha scritto lo si fa, chiedendosi al massimo perchè l'ha scritto.Lasciate ai musicologi queste faziose considerazioni estetiche e intanto PRODUCIAMO!! può sembrare troppo semplicistico tutto ciò..lo so...ma tra le tante cose interessanti che avete scritto, la domanda da cui siete partiti secondo me è pura speculazione."

R: ma cosa ... PRODUCIAMO? Noia?
Io possibilmente voglio mettermi in grado e all'altezza di produrre musica.
Ma che razza di discorso è "l'ha scritto, quindi si fa".
Mi sa più di feticismo verso il compositore che impegno al quale dedicare la propria esistenza. Se invece per te la musica è un hobby, questo è tutta un'altra cosa.
Se fare o non fare dipende solo dal fatto che l'ha scritto, magari perché è una convenzione datata a te questo non interessa minimamente, basta ... produrre.
E poi: cosa produce un musicista, se è lecito sapere o chiedere?
Allora invece di ripetere una volta l'esposizione, visto che basta produrre e quindi il criterio è meramente quantitativo, potresti proporre di farlo ... due volte invece di una, così la ... produzione è garantita.

Quando dico che la ripetizione non esiste non mi riferisco al fatto che uno stesso frammento non si deve ripetere, il mio discorso è di tipo strutturale e tensivo.
Dire che la ripetizione non esiste vuol dire che la ripetizione va ... orientata.
Il compositore in realtà non fa altro che ripetere, il problema di ordine tensivo è quale sia la funzione della ripetizione.
La ripetizione ha due possibili orientamenti: o porta ad accrescere tensione o serve ad attenuare tensione.
Allora la domanda che ci sta dietro tutte le volte è:
in base al tragitto "tensivo" del brano, questa ripetizione va orientata a ... "più" o va orientata a "meno"?
Nel caso allora dell'esposizione della forma sonata il problema non riguarda più una cellula, ma un intero "settore" tensivo.
Siete proprio sicuri che sia chiaro a tutti come vada "orientatao" tensivamente l'eventuale ritornello?
A me sembra che quasi sempre gli esecutori, pardòn, gli "interpreti", rifanno esattamente la stessa cosa, anzi, nelle riproduzioni discografiche, casomai non fosse venuta bene la prima volta, prendono il ritornello e lo ripetono due volte (nel senso che nella parte di registrazione relativa al ritornello non fanno altro che reiterarla, ... tanto ...è la stessa roba !!!!)
Allora ripeto (appunto), la ripetizione non esiste da un punto di vista tensivo, nel senso che anche tre ripetizioni delle stesse cellule sono possibili (e anche più) il problema è come le ... orienti e in base a quale criterio.
E non mi basta certo come la "interpreta" l'"interprete " di turno, prima vorrei che mi dimostrasse che ha capito come "è", poi sono disposto a prendere in considerazione che e se lui la esegue come "è", e non come lui vuol farmi credere, in base a non si sa che, che sia come LUI pensa che sia: non vedo che diritto in più avrebbe e per investitura di chi (divina?), lui di impormi la sua, sono molto più disposto a prendere in considerazione la mia, allora, e se queste sono le modalità,
Raffaele vince (interpretativamente)!

repetita ... "non" iuvant

Inizierò a postare da oggi una serie di interventi, in parte elaborati da me (Fabio), in parte raccolti dai forum ove scriveva il M° Napoli in anni passati, relativi soprattutto a Punto Massimo e forma. Per cominciare, però, affrontiamo il problema della ripetizione. Praticamente tutta la musica, escludendo (forse) manifestazioni di sperimentalismo post-dodecafonico, si basano su ripetizioni, ovvero su cellule tematiche, o temi o comunque sequenze di note che si ripresentano. Se da un punto di vista visivo noi potremmo definirle ripetizioni, in fenomenologia il precetto è: la ripetizione in musica non esiste. Iniziamo l'argomentazione dal caso più macroscopico di ripetizione, cioè il ritornello.
Ritornello nella forma sonata: si o no? (2005)
quali ragioni strutturali renderebbero necessario il ritornello dell'esposizione?
E allora perché non fare anche il ritornello dello sviluppo?
E se si fa il ritornello, come si dovrà orientare la ripetizione ?
Diciamolo così: l'esposizione punta allo sviluppo, la ripresa compensa esposizione e sviluppo, ma la seconda volta dell'esposizione a cosa tende? A quale ragione strutturale risponde?
Possibile risposta di un utente:
"La ripetizione, appunto spesso facoltativa, ha la funzione di evidenziare gli elementi ed aiutare a ricordarli per preparare allo sviluppo...
Non pensare al fatto che oggi esistono i CD e quant'altro... della patetica conosciamo ogni nota e dunque la ripetizione sembra effettivamente solo una ripetizione... si può discutere anche di questo poichè un bravo interprete può anche cogliere delle sfumature diverse riproponendo lo stesso materiale, in ogni caso nel periodo cui appartengono le sonate classicamente concepite non esistevano mezzi di riproduzione, l'unico ascolto di brani nuovi era il concerto, appare logico che la ripetizione avesse la non secondaria funzione strutturale di imprimere nella mente dell'ascoltatore gli elementi principali di una composizione, anche per favorire la comprensione del loro sviluppo nella parte centrale. Tra l'altro quel che appare nella forma sonata, nella sinfonia etc. è presente in forma più o meno evidente in gran parte della letteratura musicale, basti pensare al concerto grosso, che spesso propone una sorta di ritornello tra una digressione e l'altra del solista o del concertino, esempio lampante la Primavera di Vivaldi..."
R: ... c'è un fraintendimento di non poco conto: confondi una necessità di ordine pratico con una questione strutturale e le metti insieme.
Le necessità della struttura non hanno nulla a che vedere con la poca o tanta capacità di attenzione degli uditorii di allora.
La cosa importante da chiedersi è: la struttura tensiva della forma sonata come funziona?
Ciò che i musicologi, nel tempo, hanno poi stigmatizzato come: esposizione - sviluppo - ripresa (ed eventuale coda) a quale necessità risponde?
Il difetto che lo studio corrente delle forme genera è quello di pensare le parti costitutive di una forma non come una necessità strutturale da una parte (come proiezione di nostre strutture percettive) e caratteristiche percettive, di ritorno, dall'altra, dell'umano: il compositore compone così perché siamo fatti così, l'ascoltatore capisce perché ritrova modalità che gli sono proprie essendo anche lui fatto così.
No! Le forme sono viste come contenitori a se stanti che poi il compositore riempie a suo piacimento, che potrebbero essere in un modo ma anche nel suo contrario, in nome della libertà del compositore, da un lato e dell'... interprete dall'altro, che ne fa, per ridargli vita sonora rispetto ai segni su carta, quel che vuole, "interpretando", appunto.
E' un po' come se pensassimo che il compositore si sia svegliato una mattina e abbia pensato fra sè e sè: "oggi voglio fare una sonata, ma non ho voglia di partire dall'esposizione, oggi no; faccio prima una bella coda, poi lo sviluppo, e se mi resta tempo scrivo la ripresa così è fatta anche l'esposizione, tanto sono uguali".
Ecco infatti l'altro koan: "che differenza c'è fra esposizione e ripresa nella forma sonata? "
--- Possibile risposta:
"Caro Raffaele, forse è il caso di far notare che la prassi e le regole non sono poi due cose così distanti; le regole, o la struttura, se preferisci, non sono altro che la cristallizzazione della prassi; ci siamo storicamente e culturalmente abituati ad alcune cose al punto di considerare come leggi naturali delle regole che invece sono storicamente determinate.
Sono ormai passati millenni dall'enunciazione del principio secondo cui la funzione dell'arte è la catarsi, e io credo che effettivamente sia così. Possiamo parlare di tragedie greche, di forma-sonata o di cinema, ma il punto è sempre lo stesso; una "cosa" che parte come descrizione, poi accumula tensione generando aspettativa, raggiunge un climax, sfoga la tensione ed arriva al rilassamento, ci fa sentire meglio; è per questo che la forma sonata si è affermata. Con questo si può anche rispondere al tuo ultimo Koan: che differenza c'è tra esposizione e ripresa e, aggiungo io, perchè nell'esposizione il secondo tema modula alla dominante e nella ripresa no? Perchè nell'esposizione si crea l'aspettativa, per cui la tensione che ci sarà poi nello sviluppo è già in gestazione, mentre nella ripresa la tensione si è già sciolta e si è raggiunta "la pace dei sensi". La differenza tra esposizione e ripresa è un po' come la differenza che c'è tra l'inizio di un discorso in cui l'oratore non è ancora entrato nel vivo ma sta scaldando l'ambiente, e la fine, quando tira le somme, ma in fondo quello che ha da dire l'ha già detto."

R: ... quello che dici è tutto condivisibile.
Allora si tratta di fare un ultimo, piccolo sforzo e considerare che il ritornello dell'esposizione, proprio per le ragioni che tu hai così ben descritto da un punto di vista tensivo, non ha senso.
Considera che nel momento in cui con primo e secondo tema il compositore ha esplicitato il contrasto e allora ha creato le premesse per portare questo contrasto alle sue estreme conseguenze nella sua sede naturale che è lo sviluppo, noi invece che facciamo? Per una convenzione ormai obsoleta, ripetiamo l'esposizione.
Sarebbe come se a teatro in un primo atto si presentasse all'apertura del sipario un vecchio signore con un a corona in testa e dicesse: "I barbari premono alle porte del regno e io, solo, devo difendere il mio popolo, a me tocca la decisione, chi potrà mai consigliare il re? ..."; e mentre lui continua il monologo entra una donna, anche lei con la corona in testa urlando : " ... Tuuuu, pensi solo alle sorti del regno, poco ti importa del nostro amore; mio padre aveva pensato ad un destino diverso per me...".Si chiude il sipario. Fine primo atto.
Ecco. Primo tema e secondo tema sono lì, ... esposti. Alla riapertura del sipario che accade?
Stesso vecchio signore che avanza e dice : "I barbari premono alle porte del regno e io, solo, devo difendere il mio popolo, a me ... etc"
Insomma si ripete tale e quale il primo atto?
Che senso ha? Magari possono dire tutto con voce più alta e parlando un po' più in fretta, ma da un punto di vista tensivo, proprio quello che tu hai così ben delineato, NON HA SENSO.
Tutti ci aspettiamo che ne sarà da un lato del regno e dall'altro del matrimonio re/regina. Allora? In realtà nel secondo atto vogliamo lo sviluppo!
Un consiglio. Dato che siamo animali spesso guidati dall'abitudine e poco avvezzi a fare sforzi o riflessioni fresche e primigenie, prova ad ascoltare se ne trovi o suonandole, ad eseguire composizioni in forma di sonata (vanno bene anche sinfonie di Mozart o Beethoven o di Brahms) senza il ritornello.
Dopo un po' ascoltare il ritornello ti darà un fastidio insopportabile. Ti risulterà di una ridondanza ingiustificabile.
Per le sinfonie abbiamo Celibidache che da un certo punto in poi della sua vita artistica non ha mai più eseguito i ritornelli.
Per le sonate per pianoforte puoi iniziare l'ascolto dalla ripetizione dell'esposizione così l'esecuzione passa direttamente allo sviluppo.
Capisco che ci vuole coraggio,ma assumersi delle responsabilità comporta inevitabilmente dei rischi.
A noi la scelta. Le due ipotesi sono: esecutore incosciente, latore della presente, quasi che dicesse: "io non capisco niente, vedete voi. Cerco di riportarvi il testo al meglio delle sue indicazioni. Cercate di capirci qualche cosa voi, hai visto mai che se ve lo suono come è scritto, magari voi riuscite a capirci qualcosa".
L'altra ipotesi è: "vi propongo di vivere con me il tragitto tensivo che la mia coscienza pura, del tutto uguale alla vostra, è riuscita a ... vivere, con l'auspicio che quello che io ho già digerito per voi, che a questo mi avete delegato in quanto esecutore, riusciate ,anche voi, a ... viverlo. Se mi frequenterete, vi renderete conto che di me potete fidarvi e che cercherò, per quanto sia possibile, di essere onesto nel non sovrapporre la mia soggettività alle ragioni della tensione oggettiva".
Questa potrebbe essere la dichiarazione di intenti, o forse meglio, la ..."poetica" del sublime esecutore.
E se andiamo a grattare, ci accorgiamo che Celibidache, Lipatti, Michelangeli, Lupu, Peraya, Oistrack, Joao Pires, Achucarro, Bream e qualche altro, questo hanno cercato di metterci a disposizione; Celibidache con in più la coscienza oltre che l'istinto (fra questi, nello specifico dei ritornelli, è l'unico che coerentemente non li esegue più).

sabato 31 luglio 2010

no-disk

Chi ha una conoscenza superficiale di Celibidache e della sua scuola, rimane perplesso di fronte al rifiuto da parte del M° di incidere dischi. Anche su questo aspetto non sono mancate polemiche anche aspre. Rimane il fatto, per contro, che questa sua posizione fu tra le cause (se non LA causa) che lo allontanarono dai Berliner nel 54, lasciando il posto a Karajan. Ha rilasciato numerose interviste in merito e quindi il suo pensiero, che cercherò di riassumere, è ben chiaro. Per un esecutore - artista, è fondamentale il continuo apporto dell'udito in fase esecutiva. Tutti i parametri, e in particolare il TEMPO di esecuzione, sono strettamente correlati all'ambiente in cui si opera. Se è così, come può una registrazione riportare questa relazione, se l'ambiente in cui si riascolterà la registrazione è un salotto, una cameretta, cioè uno spazio enormemente diverso da quello in cui è avvenuta l'esecuzione? E' impossibile. I cultori dell'Hi-fi, poi, dicono: ma la tecologia migliora sempre più... E Celibidache incalza: ancor peggio!! Se già le cose andavano male al tempo del "mono", dove tutti i suoni venivano captati da un solo microfono, i guai più grandi li ha fatto lo stereo e le tecnologie successive, dove numerosi microfoni consentono manipolazioni incredibili, montaggi e smontaggi, ecc. "Se durante un passaggio c'è bisogno di sentire un corno inglese, il direttore farà suonare più piano gli altri strumenti e un po' più forte quello strumento; con un impianto elettronico basta ruotare una manopola! Cosa c'è di musicale in questo? niente!!". Un solo microfono (e questo lo affermò anche Toscanini), per quanto possa modificare e snaturare un'esecuzione musicale, lascerà perlomeno tutto con le stesse relazioni: se c'è una fascia di frequenze penalizzate o esaltate, se il microfono stesso aggiungerà armonici e suoni propri, lo sarà su tutto il disco; quando si riprende con numerosi microfoni (anche diversi), quando tutto il flusso sonoro percorrerà km di cavi, passerà attraverso mixer e filtri vari, cosa potrà rimanere ancora relativo al contesto esecutivo e tra gli strumenti stessi? Chi pensa che ci possa ancora essere "fedeltà" (e si parla di "Alta fedeltà" ahah)... merita una risposta alla Don Alfonso: E' la fede (...) come l'araba fenice; che ci sia ciascun lo dice, dove sia... nessun lo sa. E' poi chiaro che non è stata da parte sua, nè dei suoi allievi, una crociata contro il disco. Ripudiò le poche registrazioni degli anni 40 con i berliner, soprattutto perché era ancora un Celibidache immaturo, ma era perfettamente a conoscenza che numerosi concerti venivano registrati e sarebbero stati pubblicati dopo la sua morte, ma questo "testamento" lo considerava ammissibile, proprio come una fotografia; oggi senza tanti video e registrazioni ci mancherebbe un esempio unico di magistero direttoriale. Ciò che non è bene fare, nelle sue come in nessun'altra registrazione, è andare a discutere termini esecutivi che potevano solo essere scelti lì e in quel momento; non mi è capitato di rado di sentire qualcuno (e forse io stesso) dire: "me lo ricordavo più lento (o più rapido)". Certo! Lontano dalla sala originale, dove si erano potute apprezzare (o no) determinate caratteristiche esecutive, tutto appassisce e perde rilievo.

domenica 25 luglio 2010

La strada dell'UNO

[altri interventi del M° Napoli in forum]

[...] E' la sempre ripetuta frase di Celibidache che: "il suono non è musica ma può diventare musica".
Che significa ?
Il suono di per sé non è la musica.
La musica si dà quando l'umano, avvalendosi del suono, ritrova, instaura, riconosce, RELAZIONI che trasformano la POLIversalità del materiale in UNIversalità.
Quando dico "intervallo di quinta", in realtà che cosa ho fatto?
Ho trasformato due fenomeni che altro non sono, dal p.to di vista fisico, che il risultato delle vibrazioni regolari di un corpo elastico da me percepiti attraverso una serie di meccanismi e con il concorso di "strumenti" (strumento emettitore, aria che veicola, timpano che vibra per simpatia, ossicini che trasmettono, nervo uditivo che regista, e fino a qui è suono, di per sé non definibile come musica.
Qui arriva la coscienza. Che fa?
Se la fonte erogatrice ha emesso, ad esempio, do e sol, la coscienza invece di lasciarli al loro destino puramente fisico, non potendo fare altro incessntemente, perché così funziona, li mette in relazione, spinta da una sua inesorabile modalità di funzionamento che la porta, colpita dalla molteplicità, a farne un UNO.
Ecco che quelli che erano due fenomeni fisici, che per comodità identifichiamo come do e sol, grazie alla coscienza che li unifica, diventano una sintesi (riduzione fenomenologica nel senso di UNIFICAZIONE) e come tale, essendo la sintesi, il risultato di un lavoro/capacità di messa in relazione (definizione celibidachiana di talento) la definiamo "quinta", ma in realtà che cosa è successo?
Quella molteplicità che era rappresentata da "due" suoni (fenomeno), grazie alla coscienza, diventa un UNO (noumeno) e il suono "scompare" e nasce LA MUSICA.
Allora "battere il tempo" , alla luce di queste considerazioni, cosa vuoi che c'entri con la sicurezza, l'insicurezza, il tactus, o le ragioni apparenti che deriverebbero dalla struttura.
Battere il tempo non ha niente a che vedere con una scansione dettata dal materiale, alla base c'è una nostra ineliminabile necessità derivante dal fatto che per poterci appropriare di qualunque fenomeno esterno a noi, abbiamo bisogno che sia articolato, altrimenti per noi c'è l'indifferenza e il fenomeno, non "cor-rispondendo" alle nostre caratteristiche di appropriazione, resta tale e la nostra coscienza se ne disinteressa.
Il gesto è il veicolatore di ben altro, quindi non è che "attraverso il gesto" esecutori ed ascoltatori...
Certo questa è la sintesi, ma se è sintesi, vuol dire che prima c'è stata, si auspica, una analisi.
Ora quindi, quel gesto esprime: scelte di "ordini di priorità ", scelte di "equilibri", scelte di fattori concorrenti ad esplicitare la forza interna dei fenomeni (la tensione) attraverso la forza "esterna" (la dinamica) di cui il direttore e gli esecutori dispongono, il che porterà poi all'ultima scelta che è quella risolutiva: la scelta del "tempo" di esecuzione quale condizione nella quale la molteplicità possa diventare Unità.
E per arrivare ad operare queste scelte, che strumento "usa" il direttore?
Eh, grazie, ma è proprio questo ciò di cui stiamo cercando di venire a capo, altrimenti si potrebbe pensare che il direttore è un "escogitatore" di gesti utili a far sentire ... sette note.
Fossero questi i problemi, niente è più facile, se tutto si riduce ad un mero "escamotage" tecnico.
Molto più complesso invece è accettare di entrare nell'ordine di idee che fra il gesto e la sostanza c'è assoluta IDENTITA' e allora prima di tutto bisogna ragionare e venire a capo del "che cosa" e questo comporterà inevitabilmente la ricerca del "come" corrispondente.

Domanda: "come facciamo a dire che solo Celibidache "verificatamente ha detto qualche cosa?"

R: verificando. Anche questa risposta è di stampo "metodologico".
A fronte di possibili ipotesi per "verifiche" intendo: anche tu, dotato come ogni umano, di coscienza (che funziona per "contrasti", per "messe a confronto") proprio mettendo a confronto tesi/ipotesi differenti, ti accorgerai che gira e gira, alla fine il prepotente bisogno di UNIficazione (UNIversalità) caratteristica ineliminabile/strutturale della coscienza ti porterà a "riconoscere" ciò che è più pertinente. L'adesione quindi ad una tesi (in questo caso quella celibidachiana) non verrà in quanto una fra le tante, ma perché ... avrai verificato che è vivibile, efficace, (unica vorrei dirlo, ma capisco quanto possa risultare forte).

Decisivi diventano i criteri. Se il criterio è di tipo uman/affettivo (chi non ha bisogno di transfert per "accettare" le tesi di un professore? E allora, anche se temporaneamente, è naturale che lo ritenga IL MAESTRO).
Poi è auspicabile che , una volta interiorizzata la poetica di un maestro, se ne prendano le debite distanze in base a criteri, ordini di priorità, metri di valutazione.
Ora ci sono Maestri che lavorano anche su questo fronte (e Celibidache è stato il Principe di questa metodologia): la ricerca di ordini di priorità e criteri di valutazione. Poi si sottoponevano a ... "svisceramento" fino allo sfinimento, tutte le cose che venivano proposte, a cominciare proprio da quele da lui proposte, quindi non era "questo è così perché lo dico io che sono il Maestro che tu reputi tale e perciò intoccabile"; macché, era: "parliamo di questo" e poi socraticamente (nel senso della maieutica) sviscerare, nel senso letterale del termine, ogni aspetto possibile, e partendo da ogni prospettiva possibile.

D: "Inoltre, se pensiamo a dieci direttori professionisti diversi, ciascuno è convinto intimamente di esprimere la Musica ai massimi livelli! Per continuare nella mia vecchia similitudine, ciascuno si crea una sua geometria (in sé coerente): come facciamo a distinguere tra i sistemi totalmente autoreferenziali (che creano un mondo internamente logico ma assurdo partendo da postulati assurdi) e quelli buoni?"

R: Qui c'è una risposta importante: la tua coscienza sarà la misura, ma sta a te fare un po' di palestra per avere la certezza che la tua coscienza abbia strappato il famoso velo di Maya e sia finalmente "pura" nel rapportarsi. La strada è quella dei "no". Così no, così, no, così no nella speranza che si faccia sempre più strada dentro di te l'unico SI.

giovedì 22 luglio 2010

Invenzioni e scoperte

Credo che molte persone non si siano mai soffermati sul pensiero di quanto, in musica, ci sia di invenzione e quanto di scoperta. E' un argomento che ha suscitato polemiche anche piuttosto aspre, e non si capisce perché! In effetti non poche persone ritengono che la scala e l'armonia tonale siano un retaggio culturale, e pongono a confronto il fatto che altre culture utilizzano scale diverse (ma il più delle volte non armonie). Ora non credo si possa discutere sul fatto che qualunque corda tesa, messa in vibrazione, produce un suono e tutti gli armonici che scaturiscono secondo un principio fisico universale. Altrettanto innegabilmente questo fenomeno è uguale in tutto il mondo. Che l'armonia (ma anche la scala) tonale derivi naturalmente da questo principio non credo che necessiti di discussioni. Dunque, credo si possa dire serenamente che i principi strutturali su cui si basa il nostro sistema musicale siano stati una SCOPERTA di principi fisici eternamente presenti e immutabili. Ora non voglio avventurarmi sulla strada secondo cui altri sistemi musicali, a partire dalla dodecafonia, siano state INVENZIONI, che quindi non si basano su alcun principio fisico, ma, dovendo sottostare comunque a leggi fisiche, non accontentano il musicologo frettoloso che ritiene che la serie (qualunque) persegua un gioco "democratico" secondo cui in questo modo non esiste più un tono principale: lascio la discussione a tempi futuri; ciò che ora mi preme sottolineare è che il M° Celibidache, dopo una infinita serie di esperienze "laboratoriali" sul gesto, arrivò a codificare una disciplina gestuale direttoriale che se in un primo momento poteva sembrare di semplice condivisione, culturale, convenuta, con l'affinamento e il perfezionamento è risultata anch'essa scoperta di leggi fisiche del tutto naturali, per cui la sorpresa cui si va incontro in quest'arte è che la Musica, in tutte le sue componenti, e i principi fisici che guidano l'uomo nella sua realizzazione, vuoi di singoli strumenti, così come il canto, che un'attività apparentemente astratta come la direzione, ricadono esattamente nella stessa logica e conducono alla base della ricerca della nostra coscienza: fare UNO!

martedì 20 luglio 2010

Segreti

[Intervento del m° Raffaele Napoli su forum - 2007]

Qui intervengono i famosi "segreti" professionali, quei distillati di esperienza che hanno due possibilità: o si rivelano degli espedienti, nel senso che ognuno elabora un sistema col quale si ... "arrangia" come può e ogni tanto gli va pure, empiricamente ma casualmente, bene ma senza nessuna possibilità che l'espediente trovato dia garanzie costanti di efficacia, oppure si lavora all'acquisizione di un codice. Cosa significa? Vuol dire che il tuo fare ha una guida: l'attenzione costante al rapporto tentativo/risultato. Se provando un certo "modo" quello si rivela discontinuo, lo elimini. Resta , invece, e quindi diventa codice quel "modo" che puntualmente ottiene i risultati voluti.
Si tratta poi di andare alla fonte (cercare e trovare un ... MAESTRO) la cui "efficacia" di risultati sia costante e affidabile. In altri termini, si può anche tentare di arrivare alle cose da soli, il rischio è da un lato di scoprire l'acqua calda e quindi perdere un sacco di tempo, oppure,se quello che ti interessa è fare davvero, cercare nel tempo ... giusto, di imparare una tecnica ... laser, che ti metta cioè in grado di arrivare agli scopi prefissati senza dispersioni.

Per ottenere più suono ci sono due ..... tecniche.
1) l'ANTICIPAZIONE. Si tratta di anticipare nella metà del movimento precedente il movimento successivo. Ad esempio stai battendo un 3/4 (figura di riferimento: triangolo - 1 in battere, 2 a destra. 3 in alto sulla verticale dell'1 ) e hai bisogno di più suono perché gli archi non sono abbastanza presenti in base al contesto di quel momento?
Allora: se immagini il percorso di ogni movimento contenente la sua suddivisione (ma senza indicarla suddividendo il gesto) come ù-no, dù-e, tré-e, per ottenere più suono farai ad esempio, con il gesto ovviamente, ù-no, dù-tre, é-e, in pratica ANTICIPI il movimento del tre alla metà del due. Questo è efficacissimo. In pratica diventa una specie di ... sincope gestuale ma che si rivela una bomba di risultato.
2) Dirigere le ... ottave. Generalmente i direttori hanno poca coscienza del fatto che il gesto ... suona.
Franco Ferrara, l'unica volta che l'ho incontrato, mi disse, mentre stava dirigendo un ... incapace: "ah, se la bacchetta suonasse..." come dire: questo sta facendo un disastro, non c'è alcun rapporto fra la musica e quello che lui fa, eppure l'orchestra continua a suonare quando, invece, in base a quello che lui sta facendo, dovrebbe fermarsi.
Questo trova conferma nella indicazione che Celibidache dava all'orchestra di Monaco durante i corsi di direzione: "per corstesia suonate esattamente quello che lui dirige, altrimenti non si renderà mai conto di quello che sta facendo e della relazione che c'è fra il suo gesto e il risultato e si illuderà di essere lui a dirigere quando invece è semplicemnete l'orchestra che suona indipendentemente da quello che lui fa".
Allora ? Il gesto in realtà ... suona, non è solo simbolico, nel senso che non è una semplice convenzione. E come "suona" il gesto ? Avvalendosi della tridimensionalità. Noi viviamo in uno spazio tridimensionale e il gesto vi corrisponde.
Allora se hai bisogno di più suono nei contrabbassi, per indurli a dare più suono (se non basta quello che in quel momento, in relazione al contesto, stanno dando) amplierai il gesto verso il basso, quasi ad andare a prendere ... in cantina tutta la profondità della gamma che un contrabbasso offre. Questo vale anche per il contrario: se i contrabbassi stanno dando ... troppo, conterrai il gesto battendo in un ambito che non affonda mai verso il basso (spaziale) costringendoli (o meglio non autorizzandoli) ad "allargarsi" troppo.
Beh, devo dire che quelli che sembravano "espedienti" o "pannucci caldi" buoni per Celibidache e non sempre affidabili, si sono rivelati .... CODICI e funzionano. Certo non puoi pensare di dirigere sempre anticipando o "ottavando", queste sono le "risorse aggiuntive" quando l'ordinaria amministrazione non basta.
9) con quale gesto si ottiene un pianissimo ?
il modo più efficace per ottenere un pianissimo dall'orchestra è quello di ... bloccare i gesto dove si trova nel momento in cui è necessario ottenere il pianissimo
(nel senso che resti con le braccia all'ampiezza e all'altezza alla quale ti trovi e semplicemente riduci quasi a zero il movimento)
L'efficacia è tale che le prime volte rischi la sindrome da ... superuomo, nel senso che pensi "caspita ma allora sono proprio io a dirigere ... (...se so cosa fare)
Molti, e qui denunciano ( ... o tradiscono, fate voi ) il loro assoluto dilettantismo, si prodigano in rimpicciolimenti, riavvicinamenti delle braccia verso il centro e quello che è più grave, bruciando completamente la dimensione più sottile e delicata del gesto: la profondità.
Allora cosa fanno? avvicinano le braccia al corpo; qualcuno, poi non pago di tutto questo, assume una posa prossima all'... evacuazione, piegando un po' le ginocchia e quasi sollevando il ... popò.
L'orchestra , probabilmente, accortasi fin dalle prime battute delle inesistente presenza "utile" del direttore, non può far altro da un lato che arrangiarsi dato che è abbandonata al suo destino, e dall'altro, qualcuno ormai col ..."callo" del suonare ... indipendentemente da quel pinguino che sta sul podio (e quindi avvezzo a fare senza) si gode la pantomima e se la ride.

Ogni concerto, in una prima fase della sua esperienza direttoriale , oltre 400 concerti con la filarmonica di berlino in 7 anni, fatti non come qualunque altro a quel livello con un'orchestra similare (vedi Solti con Chicago, o qualunque altro stabile con la propria), visti gli esiti, senza una autoanalisi, ma servendosi al meglio di quella opportunità: un orchestra ... attendibile e per attendibile intendo pronta ad assecondare e un direttore autocoscienzioso.
Allora, ad esempio il problema pizzicati tutti assieme e non i soliti arpeggi. Bene se un certo gesto è alterno nella sua efficacia, una volta va e na volta non va, lo elimino, ma se avendo intuito che dietro c'è altro (come l'ha detto bene chi ha scritto qui che dietro a ogni mela che cade c'è una legge, ma ci vuole anche un Newton che la riconosca e la spieghi, e non che chi è incapace di riconoscerla, dice che non c'è e per lui è solo caduta una mela ...) e cercando di dare sostanza a quest'altro (gravità, ricerca dell'unità, coerenza fra forma e sostanza, etc, etc) sperimento un gesto che si rivela puntualmente affidabile, questo diventa ... "CODICE", tanto che poi si può arrivare a dire: il pizzicato si fa ....COSI'!

domenica 4 luglio 2010

Dall'io al noi

(commenti del m° R. Napoli su forum - 2007 -)

[...] alle "dinamiche" autoreferenziali, peraltro così diffusamente proposte, propinate, perorate, cerchiamo di andare oltre, cercando invece ciò che possa fare riferimento a quanto di "oggettivo" sia verificabile e testimoniabile. E' un tentativo, finalmente, di passare dall'IO al NOI, dal soggettivo autoreferenziale al confluire del soggettivo nell'oggettivo.

In definitiva è la solita storia dell'interpretazione: come la senti tu si qualifica come UNIversale soltanto nel momento in cui si avvicina o coincide a/con come la "sentono" tutti in base alle dotazioni del modello base di cui tutti disponiamo per vivere in questo ambiente fenomenico.
Se invece resta soltanto una manifestazione individuale, restiamo ancora nel campo del....POLIversale e allora ognuno è liberissimo di comunicarcela e magari di trovere pure "adepti" che la condivideranno (il mondo è bello perché è vario), ma questo modo ha poche opportunità di risultare per ciascuno di noi umani interessante perché è fortemente minato da un altro modo che inevitabilmente avrà la precedenza: il MIO (ovviamente, quindi, il mio inteso come ... ciascuno il proprio)

Perché dovrei dare più credito al ...TUO se è solo tuo? Francamente, allora, preferisco... il mio... E così via , insomma,siamo ancora all'interpretazione come arbitrio.

Uscire dall'EGO e dalla soggettività per trovare ciò che di oggettivo ci accomuna.

Non esiste una "esecuzione fenomenologica".
Esiste una esecuzione e basta.
L'arbitrio si commette da parte, in primis, dell'esecutore che essendo deputato a rendere sonoramente ciò che l'autore ha stenografato sulla carta, non dovrebbe ignorare alcuni dati fondamentali, due in particolare: da un lato le caratteristiche del suono, dall'altro come il suono interagisca con la coscienza umana.

L'ascoltatore non è che deve conoscere la fenomenologia, in realtà reagisce per come funziona. Certamente come per tutte le branche dell'umano manifestarsi un po' di dimestichezza (leggi "cultura musicale di base" ) sarebbe richiesta.

Qui insomma si pretende di assistere a letture di poesie arabe senza conoscere l'arabo.
Ci sono alcuni dati basilari che prescindono dalla cultura. Come dico spesso fanno parte della dotazione del modello base per stare in questo mondo fenomenico.
L'articolazione, ad esempio è un requisito fondamentale che deve possedere qualunque fenomeno esterno a noi per essere per noi "appropriabile".
Se un esecutore fa un accento su ogni battere di una misura e non tiene conto delle articolazioni, abbassa tutto all'articolazione più primitiva e allora non rende giustizia a ciò che ha scritto "umanamente" l'autore.

Ora quindi la domanda è un'altra, in realtà: "quanta fenomenologia bisogna conoscere per fare e ascoltare musica?"

Bene, la fenomenologia con il "saper fare" e il "saper ascoltare", alla fine non c'entra nulla ai fini della MUSICA.

Finché stiamo a livello fisico, dei fenomeni, allora la fenomenologia è in grado di "ragguagliarti" su tutto ciò che ostacola il passaggio dal suono alla musica, ti dice insomma tutto quello che musica NON E'.

Che cosa invece "è" musica, è indicibile. Il processo va solo vissuto, perché nel momento stesso in cui tu fissassi dicendo " questo è musica" ne avresti sancito (della musica) il limite, ed è questo che è improprio per un processo di libero funzionamento della coscienza.
Certo per avvicinarci possiamo dire: "tu sei la musica", "l'umano è la musica"," il suono non è musica ma può diventare musica".
Ma questo è solo per aiutarci a vivere quel processo indefinibile.

E' molto più semplice di quello che possa sembrare.

Chi ha composto ad esempio la Marsigliese, credi che abbia fatto un ragionamento ..."fenomenologico" ? Eppure ha istintivamente aperto su un intervallo di quinta facendo : sol - sol - sol - do - do - re- re- SOOL - mi - do
Prova a fare : sol - sol - sol - do - do - re- re - FAA - fa - mi e ...."senti" se è lo stesso effetto di ESTROVERSIONE che una quinta ascendente inevitabilmente porta con se. Se avesse aperto sul FA, in realtà avrebbe fatto una quinta inferiore (se provi a cercare il fa, partendo da do, nel circolo delle quinte superiore, non lo trovi. Lo trovi invece come, sempre partendo da do, quinta inferiore ).

Quindi un conto è ciò che deve sapere su come NON E' il professionista con l'auspicio che dai tanti no gli nasca dentro il vissuto dell'unico SI'.
Che questo debbe far parte anche del vissuto di un ascoltatore "medio", è auspicabile, proprio perché se manchi completamente di "cultura musicale di base", cosa pretendi che siano le sole "orecchie" a farti appropriare...di che?
Delle vibrazioni regolari di corpi elastici? perché questo e non altro è il suono. Altro è cogliere le relazioni che si instaurano fra i suoni: grazie, da qui in poi intervalli, ritmi ,armonie e relazioni fra parti, necessità di passare dalla molteplicità dei fenomeni all'Unitarietà dei fenomeni e quindi al quel moto della coscienza - definizione impropria ma avvicinantesi per approssimazione - che si avvale del suono e vi porietta se stessa per alcune affinità fra suo modo di essere e quel materiale, che chiamiamo MUSICA.

domenica 30 maggio 2010

L'inganno dell'interpretazione

Una frase che ricorre spesso nelle interviste e negli interventi didattici di Celibidache, o del M° Napoli, è: cosa c'è di interpretabile in musica? Chi non ha le necessarie basi fenomenologiche, dirà che ci sono diversi parametri, nell'esecuzione di un brano, che, non potendo essere misurabili strumentalmente, devono giocoforza essere interpretati. Ci riferiamo ad es. alla dinamica. Quanto piano può essere un "piano", quanto un "pianissimo", ecc.? Oppure al tempo: qual è il tempo di un allegro, o di un andante...? Insomma, tranne le note, quasi tutto il resto non può avere un carattere univoco. E' vero, però, che più passa il tempo, più i compositori hanno infarcito le partiture di segni, anche alla ricerca, per l'appunto, di un carattere meno gestibile dagli esecutori. Igor Stravinsky ebbe a dire che solo le sue esecuzioni erano come lui le aveva concepite. Lui, come tantissimi altri, non aveva capito qualcosa di fondamentale, di essenziale. Non può (e meno male!) esistere l'esecuzione modello o campione. Non può esistere quel tempo di esecuzione valido per ogni ripresa; ecco perché è totalmente assurdo apporre l'indicazione metronometrica accanto all'indicazione del tempo. Sul tempo torneremo. Qualcuno ci chiederà, quindi, come si può fare a stabilire quanto vale un piano o un forte, in assenza di parametri misurabili, come si fa con una radio o un impianto hi-fi. Intanto una normale osservazione. Se io parlo con una persona a 50 cm da me userò un certo volume; se la persona è a un metro, ne userò un altro, se parlo in un enorme salone, un altro ancora, e così via. E' evidente che tutti i parametri dinamici andranno in primo luogo rapportati alle caratteristiche del luogo in cui si fa musica. Questo però ancora non spiega in che misura si rapporteranno i vari piani e forti... Come si è già cercato di dire, un brano è un percorso; la partitura una sorta di "mappa" dove l'esecutore dovrà cercare di orientarsi, individuando montagne, valli, colline, pianure... Qualcuno può pensare sia facile, che tutto sia già evidente e chiaro, ma... non è così. Non lo è per niente, tant'è vero che, quando ci si sia creata una coscienza musicale, si percepisce facilmente in tantissime esecuzioni, la difficoltà o addirittura la totale mancanza di un qualunque percorso. Anche in presenza di orchestre o strumenti meravigliosi, di esecutori celeberrimi, spesso si ascoltano solo note. Apparenza di inappuntabile bontà esecutiva; intonazione perfetta, rispetto delle legature e di altri segni. Tutto pulito e terso. Eppure... cosa manca? Manca l'unitarietà. E l'unitarietà si può raggiungere solo quando il percorso svolto è univoco (non nel senso "fotografico", ma sempre in senso relativo al luogo e al momento) e dunque quando i parametri messi in campo sono tutti in relazione tra di loro.

venerdì 14 maggio 2010

La ricchezza

Ciò che ho definito "l'allegra famigliola", cioè l'insieme di suoni armonici che scaturiscono necessariamente ogni qualvolta nasce un suono (principale), non ha solo risvolti teorici, ma pratici, importanti. Il corredo di ogni accordo che viene eseguito da uno strumento o da un gruppo di strumenti è costituito dagli armonici e dalle risonanze che si creano nel luogo ove si produce Musica. La Musica si fa avendo le orecchie ben aperte, allenate, pronte a cogliere tutto quanto avviene istante per istante, fornendo materiale alla coscienza le cui reazioni ci porteranno a modellare il flusso musicale secondo i criteri che ci siamo posti. Quando si costruisce una casa in linea di massima si esegue fedelmente un progetto precostituito. Nelle grandi opere architettoniche capita abbastanza spesso che il progetto si modelli nel corso della costruzione in base a elementi che emergono dal vivo. Nella musica è sempre così, perché mentre il progetto di una casa (parliamo di Architettura, non di mera edilizia) già tiene conto di elementi peculiari, nella musica lo spartito o partitura è solo una stenografia che dovrà necessariamente SEMPRE essere adattata a quanto si ha a disposizione. Il fatto che in due luoghi (o addirittura nello stesso luogo) in momenti diversi ci possano essere caratteristiche diverse, è un dato sufficiente a capire che non possono esistere caratteri riproducibili in diverse esecuzioni di uno stesso brano. Quando si parla di "unicità" dell'esecuzione, di assenza di interpretazione e di verità, non si deve e non si può intendere che di esecuzione ne può esistere una sola. La musica nasce e muore ogni volta che viene eseguita. L'unicità consiste solo nel creare le condizioni affinché chi ascolta possa godere della ricchezza del flusso musicale e, naturalmente, possa trovarsi nelle condizioni di "unificare" la poliversalità dei fenomeni. Quindi si potrebbe definire "interpretazione", al massimo, il far sì che tutti i parametri musicali siano adattati all'hic et nunc di quella realizzazione.

martedì 11 maggio 2010

coscienza della quinta

[Intervento di Raffaele Napoli in forum - 2006]

Il suono di per sé non è la musica.
La musica si dà quando l'umano , avvalendosi del suono, ritrova , instaura, riconosce, RELAZIONI che trasformano la POLIversalità del materiale in UNIversalità.

Quando dico "intervallo di quinta", in realtà che cosa ho fatto ?

Ho trasformato due fenomeni che altro non sono, dal punto di vista fisico, che il risultato delle vibrazioni regolari di un corpo elastico da me percepite attraverso una serie di meccanismi e con il concorso di "strumenti" (strumento emettitore, aria che veicola, timpano che vibra per simpatia, ossicini che trasmettono, nervo uditivo che regista e..., fino a qui è suono, di per sé non definibile come musica.

Qui arriva la coscienza. Che fa?

Se la fonte erogatrice ha emesso, ad esempio, do e sol, la coscienza invece di lasciarli al loro destino puramente fisico, non potendo fare altro incessntemente , perché così funziona, li mette in relazione, spinta da una sua inesorabile modalità di funzionamento che la porta, colpita dalla molteplicità, a farne un UNO.
Ecco che quelli che erano due fenomeni fisici, che per comodità identifichiamo come do e sol, grazie alla coscienza che li unifica, diventano una sintesi (riduzione fenomenologica nel senso di UNIFICAZIONE) e come tale, essendo la sintesi il risultato di un lavoro/capacità di messa in relazione (definizione celibidachiana di talento) la definiamo "quinta", ma in realtà che cosa è successo ?

Quella molteplicità che era rappresentata da "due" suoni (fenomeno), grazie alla coscienza, diventa un UNO (noumeno) e il suono "scompare" e nasce LA MUSICA.
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...già è un grande passo avanti riconoscere la concatenazione I - IV - V - I, sia nelle tonalità maggiori che nelle tonalità minori(lavoro sistematico e quotidiano, necessario per chi, musicista, lo è principalmente attraverso la pratica di strumenti monodici).

Già qui ci sarebbe da chiedersi PERCHE' I, IV e V grado rivestono tutta questa importanza (nota a latere: il primo obbligo al quale ottemperano tutti i compositori di musica tonale è quello di "toccare" all'inizio delle loro composizioni, prima di tutto questi gradi fondamentali - è interessante una verifica in questo senso, ci si accorgerà che tutti i brani iniziano toccando nelle prime misure proprio questi 3 gradi fondamentali o loro surrogati: il 2° come surrogato del 4° e il 6° quale surrogato del 1°, il 5° , invece, generalmente non ammette ...surroghe).

Anche per questo c'è una spiegazione.
Dato che l'intervallo "fondamentale", il pilastro su cui si fonda la musica tonale è la quinta, l'affermazione di una determinata tonalità passa necessariamente attraverso il suo determinarsi come "al centro" fra la sua prima quinta inferiore e la sua prima quinta superiore.
Esempio: Do Maggiore. Dire che per confermarla come tale bisogna enunciare il suo IV e V grado, cioè Fa e Sol, significa in realtà dire che Do Maggiore sta al centro fra la sua quinta inferiore, Fa, e la sua quinta superiore, Sol, in pratica la successione I - IV - V - I più correttamente rappresenta:
V inf - V sup - I, altrimenti detto Fa - Sol - Do ma che in realtà vuole significare Fa - DO - Sol con il Do centrato fra Fa e Sol.

lunedì 10 maggio 2010

l'allegra famigliola

Un elemento che risulta fondamentale è ciò che accompagna il suono. Quando un corpo elastico o un cilindro d'aria subisce uno stimolo (percussione, strofinamento...), emette non solo un suono, che definiamo principale, ma un gruppo di suoni. Il principio è enunciato nella legge di Plack sulla massa inerte, secondo cui una massa che viene posta in vibrazione, tenderà a suddividersi in sottomovimenti. Ciascun sottomovimento produrrà a sua volta un suono, molto più debole del principale, che non si sommano, cioè non danno un'unica sonorità, ma possono essere percepiti indipendentemente, anche perché si sviluppano in tempi leggermente diversi. Questi suoni secondari si chiamano armonici. E' noto fin dall'antichità che i primi armonici sono l'ottava e la quinta superiore. Gli amonici non è che siano ignorati dai musicisti, ma quasi sempre sottostimati. Intanto, educativamente, non c'è quasi mai lo stimolo a percepirli; è invece importante che gli alunni, specie i giovanissimi, con buone orecchie, siano da subito indirizzati a percepire quanti più armonici possibili (gli armonici sono infiniti, ma solo un numero ridotto, sette/otto, rientrano solitamente nello spettro dei suoni udibili dall'uomo). La "famigliola" degli armonici è il "corredo" del suono, la sua ricchezza. E' noto ai costruttori di strumenti che il valore degli strumenti è tanto più elevato quanto più e meglio valorizzano la produzione degli armonici. Ma dal principio degli armonici noi scopriamo e impariamo un fondamentale concetto filosofico. Il primo armonico, diverso dal fondamentale e dalla sua ottava (che sostanzialmente riproduce il fondamentale), è la quinta superiore. Questo ci porta alla considerazione che la quinta superiore rappresenta il futuro del suono principale. Se, poniamo, il Sol rappresenta il futuro del Do, possiamo facilmente comprendere che il do rappresenta il passato del sol. Dunque la quinta superiore si pone come futuro di un suono, la quinta inferiore (che nel caso di Do, è il Fa) il suo passato. Ovviamente la tonica, cioè il suono fondamentale, rappresenta il presente. Ecco spiegato dunque un principio armonico che un po' tutti conoscono meccanicamente, ma poco sostanzialmente: una tonalità è confermata dalla presenza delle due quinte, inferiore e superiore (in realtà il più delle volte si parla di quarto e quinto grado, che in un certo senso sono la stessa cosa - essendo il quarto grado superiore la trasposizione d'ottava della quinta inferiore - ma risultano meno chiare da spiegare). Questo concetto, universale perché ovunque qualunque corpo messo in vibrazione produce questo effetto, nella sua semplicità è alla base dei criteri con cui si produce Musica. Il fatto, poi, che la quinta inferiore rappresenti il passato e quella superiore il futuro, non è una semplice constatazione di tipo fisico, ma ha importanti ricadute sul piano psicologico-affettivo, anch'esse universali. La quinta inferiore, infatti, produce in qualunque essere umano una naturale inclinazione all'introversione, mentre l'ascolto di una quinta superiore produce una inclinazione all'estroversione, e questo (verificato da studiosi) conferma il legame con le proiezioni armoniche, e cioè che la quinta inferiore invita a una riflessione entro di sè, sede della memoria e dei sentimenti già vissuti, mentre la quinta superiore porta l'individuo a proiettarsi all'esterno, verso il nuovo e l'ignoto.

sabato 8 maggio 2010

All'inizio era il suono...

Se è vero che il suono non è musica, è anche vero che per poter far musica è indispensabile avere suoni. Come è noto, il suono è il risultato della vibrazione di un corpo elastico o di una massa d'aria messa in vibrazione. L'aria poi è sempre indispensabile per far giungere il suono al nostro orecchio. Ora, è interessante notare che un suono, una volta prodotto, se non viene alimentato decade. A seconda dello strumento e dell'intensità con la quale si produce, il suono potrà perdurare alcuni secondi, ma inevitabilmente va a morire. Questo principio è universale; cioè qualunque fenomeno in natura dopo un certo tempo va a morire. In realtà possiamo dire che anche quando io alimento un suono a lungo, pur continuando, esso va a decadere, non nei suoi parametri fisici, ma nell'interesse di chi ascolta. Se noi ascoltassimo mettiamo un flautista, o un organista, che tengono una stessa nota, senza alcuna variazione, per più di tanti secondi, la nostra attenzione e il nostro interesse verrebbero meno. Questo elemento è determinante nel far musica, perché dobbiamo tenere in debito conto che chi ascolta se non è periodicamente sollecitato da elementi di interesse, perde attenzione, non ascolta più, e dunque perde la possibilità di cogliere l'unicità del brano. E' quindi evidente che in questo caso abbiamo un esecutore che non fa musica, perché per raggiungere questo scopo è necessario che l'ascoltatore abbia gli elementi necessari per cogliere il percorso che lega l'inizio con la fine, e dunque unificare.

mercoledì 5 maggio 2010

"per andare dove vogliamo andare..."

Ricordate la famosa frase di Totò in Totò, Peppino e la malafemmena: "Scusi, per andare dove vogliamo andare, da che parte dobbiamo andare?" Ecco, molti (presunti) musicisti non si pongono nemmeno questa domanda quando si accingono ad eseguire un brano musicale (e allora meglio definirli "suonatori" che musicisti). Sanno, dagli studi compiuti, che un brano musicale è, almeno per quanto riguarda tutto il repertorio classico, composto da temi, sviluppi, melodie, armonie, o si basa su forme di vario tipo, tutte codificate nel tempo e contenute in manuali ben ponderosi. Spesso si sente dire da qualche appassionato: "eh, i vecchi musicisti magari non avevano la tecnica che c'è oggi, ma sapevano dare al brano una visione d'insieme che oggi manca". Ecco, molto bene, una frase interessante e intuitiva. Ma come fare a capire che un musicista ha colto davvero questo obiettivo, e ... in che modo? Ovvero come fa un musicista a dare una visione d'insieme al brano? Ed è questa davvero la meta del lavoro? Noi riteniamo di sì! Un brano è in primo luogo un'unità. Ma non è e non può essere unità precostituita, cioè non esiste prima che venga eseguito, e solo in quel momento ha la chance di diventare un'unità, se l'esecutore, o il "regista" dell'esecuzione ha coscienza di questo scopo e possiede gli strumenti per raggiungerlo e sa metterli in pratica. Non è raro ascoltare da parte di musicisti anche diplomati, anche di un certo pregio tecnico, anche in sale importanti, magari osannati da certa stampa e da gruppi di "fan", esecuzioni che altro non si rivelano che note dopo note. Giuste, espressive, magari, pulite, forse, ma... dove vogliono andare? Qualcuno può rimanere perplesso di fronte a questa domanda. Le note vanno da qualche parte? No, non le note, non i suoni, ma... la Musica. Come abbiamo detto in premessa, e come contiamo di dimostrare, il suono non è musica, ma può diventarlo. Dunque un brano non è un semplice insieme di note, ma non è nemmeno un insieme di temi, sviluppi, allegri, andanti, accelerandi e ritardandi, piani e forti... E' qualcosa di più semplice e più complesso al tempo stesso. Un organismo dove, se il compositore ha saputo fare Arte, tutto si trova in relazione. Tra una moltitudine di note, il compositore ha scelto una prima, quindi una seconda nota, e ancora una terza e così via: a caso? No, la seconda nota è stata scelta sulla base della prima, e la terza sulla base delle prime due, e così via, in un percorso che solo matematicamente può sembrare ammettere infinite variabili. Se pensiamo che la 100^ nota è il "frutto" delle 99 precedenti, ci figuriamo una complessità difficilmente razionalizzabile. Però esiste la possibilità di ricostruire questo percorso, dare al binomio tra la prima e seconda nota una "unicità", che dà 'senso' (nell'accezione di 'direzione') alla terza, che diventerà, insieme alle prime due, altra unicità che indicherà la direzione verso la quarta, e così via. Questa visione può dare un'idea di complessità insostenibile. In realtà la pratica esecutiva e di ascolto può, in tempi che non possiamo illusoriamente dire brevi, ma nemmeno infiniti, sviluppare quella coscienza della Musica che permette di cogliere i legami, le relazioni, prima tra le parti vicine poi sempre più lontane fino a quel traguardo straordinario, più volte richiamato da Celibidache nelle proprie interviste, e cioè mettere in relazione l'inizio con la fine, ovvero ancora cogliere il senso complessivo del brano fino dalle prime note.
Questo però ancora non basta. Come fa il brano a avere una propria "vita"? Qual è l'energia che lo sostiene?

martedì 4 maggio 2010

Per cominciare...

Di cosa si occupa la "fenomenologia della musica" e perché ce ne occupiamo in questo blog? Come si è detto, la fenomenologia, intesa come disciplina elaborata e compiuta dal M° Celibidache, ha basi teoriche e filosofiche, ma è eminentemente pratica. Essa è dunque lo strumento grazie al quale è possibile fare Musica. Uno dei problemi di fondo della musica è il concetto di "interpretazione"; è ormai consolidato il concetto che siccome, secondo molti, quanto comunicato dal compositore tramite spartiti e partiture, è limitato, colui che si accinge ad eseguire una composizione deve integrare ciò che manca con una sua "interpretazione". Esiste, poi, anche un concetto "romantico" di interpretazione, giusta la quale l'esecutore deve necessariamente metterci qualcosa di suo, anche modificando quanto risulta scritto, secondo l' "ispirazione" del momento. A questa tesi si è contrapposta, in tempi più recenti, una visione "filologica" dell'approccio esecutivo, già inaugurata da Arturo Toscanini a inizio '900 e portata ad estreme conseguenze alla fine del XX Sec. con l'uso di strumenti originali o simili a quelli usati all'epoca della composizione, con tecniche strumentali riprese dai metodi del tempo, e anche col ripristino di modi di approccio similari. In questo modo molti hanno pensato di avvicinarsi con maggiore sincerità alla "verità" del brano. Se riteniamo corretto il percorso di "ripulitura" da incrostazioni romantiche e modifiche del testo, d'altro canto riteniamo illusorio pensare che l'uso di strumenti e pratiche più vicine al "tempo" in cui la composizione fu realizzata possano realmente avvicinarci alla verità del brano. Per approcciarci a questo ambizioso obiettivo gli strumenti sono altri, anche se possono essere integrati eventualmente anche da studi filologici, senza per questo farne una questione fondamentale. Nell'analisi fenomenologica risultano indispensabili criteri e priorità. Anche l'uso di strumenti e tecniche strumentali possono rientrare tra i criteri, ma non tra le priorità di primo livello. Per prima cosa noi dobbiamo capire cos'è un brano, una composizione musicale...

lunedì 3 maggio 2010

Che fenomenologia?

Apprestandomi a iniziare il discorso sulla fenomenologia della musica, sarà bene chiarire di che si tratta, onde evitare l'insorgere di equivoci e conseguenti polemiche. Non si tratta, a stretto rigore, di mera filosofia, ma di una disciplina teorico-pratica. Deriva da Husserl, in quanto filosofia, ma se ne discosta anche, fa tesoro di studi ed elaborazioni di importanti musicisti, il più noto dei quali è Ernest Ansermet che scrisse un volume piuttosto importante per l'approccio alla materia: "I fondamenti della musica nella coscienza dell'uomo" (Campanotto editore). Ciò cui facciamo riferimento nella nostra scuola, è, in definitiva, l'elaborazione e l'unificazione delle varie fonti sviluppata da Sergiu Celibidache, da lui praticata e insegnata. In questa materia non vi sono solo le teorie filosofiche husserliane e di Ansermet (che a nostro avviso trovano scarso riscontro nelle esecuzioni), ma anche spunti di discipline Zen e l'analisi Shenkeriana. Ciò che più conta, a nostro avviso, è la necessità pratica di questa disciplina, il vivere continuamente il pensiero nella realizzazione musicale, ovvero il prendere coscienza di realizzare veramente musica.

domenica 11 aprile 2010

Bacchetta o non bacchetta?

Uno degli interrogativi che spesso vengono posti è se si deve usare la bacchetta per dirigere. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla "perdita" di bacchetta da parte di molti direttori celebri: Pretre, Karajan, Muti. Karajan ad esempio diceva che preferiva dirigere senza bacchetta la musica sacra, e mi pare che anche Muti segua la stessa strada. Il motivo mi risulta piuttosto ignoto. C'è, però, un aspetto di suggestione piuttosto evidente. Nell'era del video, quando le inquadrature possono fare primi piani, risulta sicuramente pieno di fascino vedere il direttore che gioca con le dita in artistici disegni nell'aria. Se poi dobbiamo ricercare una utilità in questa "tecnica", credo che rimarremmo piuttosto delusi. L'orchestra a mio parere è difficile che possa ricevere aiuti efficaci. L'espressività, il legato, non stanno in figurazioni danzanti delle mani, ma nella capacità del direttore di mantenere costante il peso del braccio, con un sapiente e proporzionato impulso iniziale e una ricaduta senza trattenute muscolari. La questione della bacchetta, poi, è piuttosto semplice, e i grandi direttori di un tempo lo dicevano con molta semplicità: la bacchetta, essendo bianca e appuntita, può catturare l'attenzione degli orchestrali anche mentre guardano la parte, quindi con la "coda" dell'occhio. La mano non può avere la stessa visibilità, e inoltre non dimentichiamo che di punte... ne ha cinque (o dieci)!! Quindi se il direttore si mette a "polipeggiare" con le dita, non solo non trasmette nulla di significativo, ma può ingannare e confondere le idee. Quindi il consiglio è sempre quello di usare la bacchetta. C'è poi una questione: da parecchio tempo non si vuole più (chi?... mah!) la bacchetta in mano ai direttori di coro. Non riteniamo che il coro abbia in sè qualcosa di diverso per cui non necessiti di bacchetta, che può essere anche di piccole dimensioni, se parliamo di cori non enormi, quindi ne consigliamo anche in questo caso l'uso; poi se preferisce evitarlo può esercitarsi a dirigere senza cercando movimenti i più controllati e chiari possibili. Ad esempio (e questo vale anche nell'uso della bacchetta) evitare sempre di ruotare le mani e non disporle mai col palmo all'insù, così come evitare di fare gesti esasperati per ottenere più o meno suono: sono palliativi quando il gesto non è efficace, o quando non si è ancora costruita una sufficiente intesa con l'orchestra o il coro.

lunedì 29 marzo 2010

Da chi e per chi?

Sospendendo per un momento il discorso sulla tecnica direttoriale, e avvicinandoci al, molto più vasto e complesso, mondo della fenomenologia della musica, poniamoci una prima domanda, che non sarà: cos'è la musica, concetto sicuramente molto arduo e che richiederà qualche riflessione a monte, ma molto più semplicemente: da chi è stata scritta, e per chi, la musica? Questa domanda si pone per un motivo. Quando si ascoltano brani musicali, spesso l'appassionato ricorre al musicista per "capire". Dunque, la musica è stata scritta da musicisti per musicisti, e dunque sono solo loro ad avere accesso a questo mondo, gli unici depositari della verità musica, o viene scritta da uomini per gli uomini, ovvero per tutti gli esseri umani? Credo che su questo molti lettori già vacillino. Infatti sono molti, penso i più, a pensare che comunque per capire occorrano informazioni musicali non alla portata di tutti. Questo crea anche una sorta di prestigio di casta, per cui solo gli "addetti ai lavori" possono capire e spiegare le segrete alchimie che si celano nelle fitte trame e intrecci musicali. Certo è vero che solo un musicista con un certo bagaglio di studi è in grado di prendere una partitura e capire che il musicista nell'arco di tot battute è passato da quella tonalità a quell'altra, e grazie a quali modulazioni. Ma questa informazione tecnica è comunque inutile all'ascoltatore privo di studi, che però con un po' di esperienza sarà in grado di capire quando il paesaggio sonoro cambia. Dunque bandiamo un primo importante, radicato e pericoloso stereotipo: la musica è stata scritta da uomini per altri uomini. E' stata scritta affinché tutti la possano capire, e tutti la possono capire. Coloro che spesso non la capiscono e infarciscono le loro chiacchiere di inutili preziosismi tecnici sono proprio pseudo musicisti, che dopo averci stupito con disquisizioni su come il compositore x ha saputo in quel determinato punto fare un pedale di dominante (mettiamo il caso), non ci sa dire manco due sillabe su come quello stesso compositore, in quello stesso brano, ha saputo collegare l'inizio con la fine, ovvero tenere desta l'attenzione dell'ascoltatore, o sul perché quella sinfonia è sopravvissuta mentre le altre 124 sono cadute irrimediabilmente nell'oblio! Non si confonda la "morfologia" della musica con la sua essenza, e non confondiamo i suonatori con i musicisti. Il musicista è colui che sa guidare qualunque ascoltatore, anche il più sprovveduto, a seguire con interesse un brano musicale, a rivelare quei "semi" che posti nella sua coscienza potranno germogliare e dar vita a una rigogliosa pianta, che per il momento non riveliamo ancora cosa rappresenta.

mercoledì 24 marzo 2010

Riassumendo

Dunque, riassumendo questi primi interventi, il direttore conscio del proprio ruolo e padrone di una tecnica esemplare, qualunque sia il tipo di attacco del brano che va a dirigere non fa battute a vuoto e inizia sempre e solo con il levare che precede l'attacco stesso. Pertanto se un brano in 4/4 inizia in battere, il direttore si limiterà a segnare il 4° movimento precedente; se inizia sul 4° segnerà il 3, se inizia sul 3° indicherà il 2 e così via. Ovviamente la partenza (detta anche "avant geste") è un impulso proporzionato alla dinamica iniziale e alla prima (o più importante) figura da indicare. Può risultare più complesso (e sicuramente lo è per chi è alle prime armi) dare l'attacco quando il brano inizia con un valore piccolo, tipo croma, semicroma, ecc. In questo caso il direttore abile usa un attacco che possiamo definire "virtuosistico", cioè segnando il movimento immediatamente precedente proporzionato ad hoc. Ad es.: inizio della sinfonia del Barbiere di Siviglia di Rossini. E' un 4/4, ma essendo un tempo lento si batterà in 8, il che significa che ogni movimento viene battuto due volte (ci occuperemo più avanti di come differenziare i vari movimenti); la partitura indica una semicroma sull'ultimo movimento e si batterà quindi l'8, cioè l'ultimo movimento proporzionando una croma (1:1). Ovviamente non sono da prendersi in considerazione modificazioni di valore: molti direttori, forse basandosi su esecuzioni di tradizione, partono o con un valore molto più grande (mi pare Karajan), o strettissimo (mi pare Abbado). Non ci pare giustificata questa procedura, e dunque, una volta di più, si fa come è!
Nel caso in cui il direttore non si senta in grado di fare un attacco virtuosistico, potrà ricorrere al levare metrico, che gli consentirà anche di assumere il tempo più opportuno prima dell'attacco.

martedì 16 marzo 2010

Battere il tempo

[collage di commenti di Raffaele Napoli del 2006
N.B.: in molti casi si tratta di discussioni o risposte a domande]

GESTO.
Primo requisito di un bravo direttore è la... "chiarezza della figura".
Che significa ?
Poter rispondere alla domanda: dov'è l'uno?
E nelle varie figure, alla breve triangolo, croce poter avere:
a) alla breve: poter distinguere l'uno dal due e non come nella maggioranza dei casi accade, che sono indistinguibili, in pratica il due ha la stessa ampiezza dell'uno e alla fine non capisci più dov'è l'uno e dov'è il due.
Un esempio: Ravel concerto in sol. Michelangeli, Celibidache. Ultimo movimento. Ecco un esempio di alla breve inequivocabile. Esperimento. Mentre il video continua, anche nelle parti nelle quali Celi non è inquadrato, prova a continuare a contare e ti ritroverai, quando lo riinquadrano perfettamente col suo gesto.
b) triangolo, tempi in tre.
Altro video “da paura” Bolero di Ravel, Celibidache ovviamente. Eh, prova a vedere che cosa è capace di scatenare.
c) croce, tempi in quattro. Altra bella sfida. Va sempre a finire in “pappa”. Non si capisce mai dov’è uno, dov’è due e così via.
Altro esperimento.
Figurazioni “acefale”. Ad esempio: pausa di 16° e tre 16i, pausa di 32° e 7/32i.
Ecco prova a notare chi stia davvero dirigendo: ti accorgerai dell’esistenza di un mondo “parallelo”. Di volta in volta chi è più reattivo in orchestra sopperisce alla mancanza di un direttore o alla presenza di un “non-direttore” assumendosi la responsabilità del famoso “impulso proporzionato”. E allora sarà tutto un pullulare di teste che danno impulsi: fagotto a tutta la fila dei fiati, trombone alla fila degli ottoni, primo violino agli archi, testa del primo contrabbasso alla fila...
SUDDIVISIONI.
Più suddivide e più è cattivo.
TESTA
Alcuni hanno una specie di sindrome da “testa dentro”. In pratica, ad esempio in un 4/4 ad ogni battere... mettono anche la testa (la piegano in avanti a marcare l’uno).
Uso delle dimensioni.
Le dimensioni usabili da un direttore d’orchestra sono le stesse dello spazio tridimensionale nel quale viviamo: su/giù, allargare lateralmente e restringere, profondità (allontanare verso avanti le mani/riportarle in posizione di partenza).
La dimensione più delicata è la profondità (allontanare/avvicinare le mani dal/al corpo). Un cattivo direttore, cosa frequente per indicare ad esempio un pianissimo improvviso, in qualunque punto si trovi, avvicina le mani al corpo.
GINOCCHIA.
Un cattivo direttore piega le ginocchia
BRACCIA.
Un cattivo direttore le muove parallelamente. Ad esempio in quattro: UNO - giù, DUE - tutte e due le braccia verso destra, TRE – tutte e due le braccia verso sinistra... e vaiiiiii.
Appendice: un cattivo direttore fa quello che viene definito “enfatizzare il quattro”.
In una croce (1,2,3,4) nel passaggio dal tre al quattro (in pratica su tutta la durata del tre) fa una specie di vibrazione/movimento (quasi come una sestina di semicrome – tara-tara-tara ) atta secondo lui a indicare meglio... francamente non so che (questi direttori generalmente hanno origini bandistiche).
Ginocchia piegate:
disorientamento in chi suona, il gesto deve ricadere nel punto dal quale è partito, piegare le ginocchia crea una sfasatura fra punto di partenza e punto di arrivo.
Avvicinare le braccia al corpo va usato con moltissima cautela. La dimensione braccia avanti/mani vicino al corpo è quella più "sottile" ed la più diretta rappresentazione dell'interiorità del direttore.
Certamente l'uso improprio più comune è quello di indicare in questo modo il pianissimo.
Generalmente si dice: "la destra batte il tempo e la sinistra è per l'espressione". Non sarei così rigido. qui rispondo: dipende.
Arrivare ad una vera indipendenza fra le due mani passa per un lungo periodo in cui le due braccia devono battere "simmetricamente", non "parallelamente", ovviamente.
Avere la visone generale di una partitura non esime il direttore, (purtroppo?) dal dover anche "battere" il tempo.
Quello che volevo sottolineare è che dovendo ottemperare a quell'obbligo ineliminabile, è bene che questo sia fatto secondo modalità che tengano conto non di una gestualità "simbolica" (ci mettiamo d'accordo su quale gesto fare per indicare...) ma, se conosciuta, sostanziale, unitaria, insomma nella quale fra la sostanza e la... "forma" vi sia identità. Forse così è più chiaro?

Una postilla non da poco è altresì necessaria.
Quando si dice che il compito del direttore è quello di uniformare l'operato dei componenti dell'orchestra alla "sua" visione, qui non sono d'accordo.
Ciò a cui deve tendere il direttore non è alla realizzazione della "sua" visione, ma a come il brano "è" non a come lui pensa che sia, e come è per tutti e con il concorso di tutti. In altri termini questo è il motivo per il quale io scrivo in vari forum, riportare nella giusta dimensione l'esistenza di due termini che agiscono nel far musica: suono e coscienza umana.
La seconda è sempre disattesa, elusa, spesso vituperata, o semplicemente... sconosciuta o ritenuta non partecipe e si parla sempre e soltanto, inesorabilmente di suono.
La battaglie, le schermaglie, le guerre infiammate sulla direzione d'orchestra derivano dalla messa a confronto fra due concezioni:
da un lato quella corrente, definiamola per comodità "interpretativa"; dall'altro quella molto meno frequente che definirei "esecutivo/riconoscitiva. La domanda/sintesi potrebbe essere: cosa c'è di "interpretabile, ad esempio, in un intervallo di quinta (e se consideriamo che un brano di musica alla fine altro non è se non un confronto fra suoni nella orizzontalità - melodia - e nella verticalità -
armonia -) la domanda non risulta come molti sono portati a pensare, peregrina o addirittura "improponibile".
Qui si scatenano da un lato gli storici, i filosofi, gli ermeneuti, insomma quelli ritenuti, a torto secondo me, quelli che della musica "parlano", dall'altra, sentendo minato il loro terreno... "interpretativo"( spesso, purtroppo invece, molto più prosaicamente, "arbitrario" ) alzano la voce coloro che la musica la... "farebbero".
Con assoluta onestà intelletuale e in assoluta aderenza al tema argomento del post Battere il tempo si dice che che serve per: fare andare insieme l'orchestra, farne cogliere agli altri la maggiore "sicurezza", per "sincronia con battere e levare", ma che in fondo, a fronte di altri tipi di scrittura, può avvalesri di altri "ausili" collaterali quali, ad esempio, un cronometro.
Scusate, poi qui spesso si lamenta una mia certa "bastiancontrarietà".
Preciso che quanto sto per dire non deve essere letto come dettato da motivazioni di tipo narcisistico o da "saccente" (giuro che se non sollecitato oltre l'umana sopportazione in tal senso, non farò più accenni a questo aspetto).
Allora: il mio chiedere "da dove deriva la necessità di battere il tempo", auspicava la messa in campo di ragioni non sempre e solo, inesorabilmente dettate dal materiale.
Messa come la mettete voi (che in sostanza è come la mettono tutti ) fa capo solo al fatto che ci sono ragioni strutturali del tutto "interne" al materiale che impongono la necessità di "battere il tempo".
Io invece sposto l'accento sul fatto che gli elementi in gioco nel far musica sono due: il suono e... la coscienza umana.
Il secondo è l'aspetto sempre eluso, disatteso, non tenuto presente.
Ritmo, armonia, metro, melodia, dinamica, agogica, altro non sono se non PROIEZIONI di come funziona la coscienza che se trova un materiale col quale è possibile, per diretta corrispondenza, instaurare un rapporto ed avvalersene per esplicitare se stessa, allora con quello lavora.
Battere il tempo non è una necessità "strutturale" derivante dal brano, ma dalla modalità di appropriazione che l'umano mette inesorabilmente in azione quando si trova al cospetto della molteplicità.
E' perché non posso fare altrimenti, perché la mia coscienza funziona così, che ho bisogno che un fenomeno esterno a me sia ARTICOLATO per potermene appropriare. Allora, battere il tempo, non è ripeto, una necessità dettata dal materiale.
Il materiale di suo, offre solo una "disponibilità" ad essere utilizzato dalla coscienza perché questa vi trova una corrispondenza con le sue caratteristiche.