lunedì 29 marzo 2010

Da chi e per chi?

Sospendendo per un momento il discorso sulla tecnica direttoriale, e avvicinandoci al, molto più vasto e complesso, mondo della fenomenologia della musica, poniamoci una prima domanda, che non sarà: cos'è la musica, concetto sicuramente molto arduo e che richiederà qualche riflessione a monte, ma molto più semplicemente: da chi è stata scritta, e per chi, la musica? Questa domanda si pone per un motivo. Quando si ascoltano brani musicali, spesso l'appassionato ricorre al musicista per "capire". Dunque, la musica è stata scritta da musicisti per musicisti, e dunque sono solo loro ad avere accesso a questo mondo, gli unici depositari della verità musica, o viene scritta da uomini per gli uomini, ovvero per tutti gli esseri umani? Credo che su questo molti lettori già vacillino. Infatti sono molti, penso i più, a pensare che comunque per capire occorrano informazioni musicali non alla portata di tutti. Questo crea anche una sorta di prestigio di casta, per cui solo gli "addetti ai lavori" possono capire e spiegare le segrete alchimie che si celano nelle fitte trame e intrecci musicali. Certo è vero che solo un musicista con un certo bagaglio di studi è in grado di prendere una partitura e capire che il musicista nell'arco di tot battute è passato da quella tonalità a quell'altra, e grazie a quali modulazioni. Ma questa informazione tecnica è comunque inutile all'ascoltatore privo di studi, che però con un po' di esperienza sarà in grado di capire quando il paesaggio sonoro cambia. Dunque bandiamo un primo importante, radicato e pericoloso stereotipo: la musica è stata scritta da uomini per altri uomini. E' stata scritta affinché tutti la possano capire, e tutti la possono capire. Coloro che spesso non la capiscono e infarciscono le loro chiacchiere di inutili preziosismi tecnici sono proprio pseudo musicisti, che dopo averci stupito con disquisizioni su come il compositore x ha saputo in quel determinato punto fare un pedale di dominante (mettiamo il caso), non ci sa dire manco due sillabe su come quello stesso compositore, in quello stesso brano, ha saputo collegare l'inizio con la fine, ovvero tenere desta l'attenzione dell'ascoltatore, o sul perché quella sinfonia è sopravvissuta mentre le altre 124 sono cadute irrimediabilmente nell'oblio! Non si confonda la "morfologia" della musica con la sua essenza, e non confondiamo i suonatori con i musicisti. Il musicista è colui che sa guidare qualunque ascoltatore, anche il più sprovveduto, a seguire con interesse un brano musicale, a rivelare quei "semi" che posti nella sua coscienza potranno germogliare e dar vita a una rigogliosa pianta, che per il momento non riveliamo ancora cosa rappresenta.

mercoledì 24 marzo 2010

Riassumendo

Dunque, riassumendo questi primi interventi, il direttore conscio del proprio ruolo e padrone di una tecnica esemplare, qualunque sia il tipo di attacco del brano che va a dirigere non fa battute a vuoto e inizia sempre e solo con il levare che precede l'attacco stesso. Pertanto se un brano in 4/4 inizia in battere, il direttore si limiterà a segnare il 4° movimento precedente; se inizia sul 4° segnerà il 3, se inizia sul 3° indicherà il 2 e così via. Ovviamente la partenza (detta anche "avant geste") è un impulso proporzionato alla dinamica iniziale e alla prima (o più importante) figura da indicare. Può risultare più complesso (e sicuramente lo è per chi è alle prime armi) dare l'attacco quando il brano inizia con un valore piccolo, tipo croma, semicroma, ecc. In questo caso il direttore abile usa un attacco che possiamo definire "virtuosistico", cioè segnando il movimento immediatamente precedente proporzionato ad hoc. Ad es.: inizio della sinfonia del Barbiere di Siviglia di Rossini. E' un 4/4, ma essendo un tempo lento si batterà in 8, il che significa che ogni movimento viene battuto due volte (ci occuperemo più avanti di come differenziare i vari movimenti); la partitura indica una semicroma sull'ultimo movimento e si batterà quindi l'8, cioè l'ultimo movimento proporzionando una croma (1:1). Ovviamente non sono da prendersi in considerazione modificazioni di valore: molti direttori, forse basandosi su esecuzioni di tradizione, partono o con un valore molto più grande (mi pare Karajan), o strettissimo (mi pare Abbado). Non ci pare giustificata questa procedura, e dunque, una volta di più, si fa come è!
Nel caso in cui il direttore non si senta in grado di fare un attacco virtuosistico, potrà ricorrere al levare metrico, che gli consentirà anche di assumere il tempo più opportuno prima dell'attacco.

martedì 16 marzo 2010

Battere il tempo

[collage di commenti di Raffaele Napoli del 2006
N.B.: in molti casi si tratta di discussioni o risposte a domande]

GESTO.
Primo requisito di un bravo direttore è la... "chiarezza della figura".
Che significa ?
Poter rispondere alla domanda: dov'è l'uno?
E nelle varie figure, alla breve triangolo, croce poter avere:
a) alla breve: poter distinguere l'uno dal due e non come nella maggioranza dei casi accade, che sono indistinguibili, in pratica il due ha la stessa ampiezza dell'uno e alla fine non capisci più dov'è l'uno e dov'è il due.
Un esempio: Ravel concerto in sol. Michelangeli, Celibidache. Ultimo movimento. Ecco un esempio di alla breve inequivocabile. Esperimento. Mentre il video continua, anche nelle parti nelle quali Celi non è inquadrato, prova a continuare a contare e ti ritroverai, quando lo riinquadrano perfettamente col suo gesto.
b) triangolo, tempi in tre.
Altro video “da paura” Bolero di Ravel, Celibidache ovviamente. Eh, prova a vedere che cosa è capace di scatenare.
c) croce, tempi in quattro. Altra bella sfida. Va sempre a finire in “pappa”. Non si capisce mai dov’è uno, dov’è due e così via.
Altro esperimento.
Figurazioni “acefale”. Ad esempio: pausa di 16° e tre 16i, pausa di 32° e 7/32i.
Ecco prova a notare chi stia davvero dirigendo: ti accorgerai dell’esistenza di un mondo “parallelo”. Di volta in volta chi è più reattivo in orchestra sopperisce alla mancanza di un direttore o alla presenza di un “non-direttore” assumendosi la responsabilità del famoso “impulso proporzionato”. E allora sarà tutto un pullulare di teste che danno impulsi: fagotto a tutta la fila dei fiati, trombone alla fila degli ottoni, primo violino agli archi, testa del primo contrabbasso alla fila...
SUDDIVISIONI.
Più suddivide e più è cattivo.
TESTA
Alcuni hanno una specie di sindrome da “testa dentro”. In pratica, ad esempio in un 4/4 ad ogni battere... mettono anche la testa (la piegano in avanti a marcare l’uno).
Uso delle dimensioni.
Le dimensioni usabili da un direttore d’orchestra sono le stesse dello spazio tridimensionale nel quale viviamo: su/giù, allargare lateralmente e restringere, profondità (allontanare verso avanti le mani/riportarle in posizione di partenza).
La dimensione più delicata è la profondità (allontanare/avvicinare le mani dal/al corpo). Un cattivo direttore, cosa frequente per indicare ad esempio un pianissimo improvviso, in qualunque punto si trovi, avvicina le mani al corpo.
GINOCCHIA.
Un cattivo direttore piega le ginocchia
BRACCIA.
Un cattivo direttore le muove parallelamente. Ad esempio in quattro: UNO - giù, DUE - tutte e due le braccia verso destra, TRE – tutte e due le braccia verso sinistra... e vaiiiiii.
Appendice: un cattivo direttore fa quello che viene definito “enfatizzare il quattro”.
In una croce (1,2,3,4) nel passaggio dal tre al quattro (in pratica su tutta la durata del tre) fa una specie di vibrazione/movimento (quasi come una sestina di semicrome – tara-tara-tara ) atta secondo lui a indicare meglio... francamente non so che (questi direttori generalmente hanno origini bandistiche).
Ginocchia piegate:
disorientamento in chi suona, il gesto deve ricadere nel punto dal quale è partito, piegare le ginocchia crea una sfasatura fra punto di partenza e punto di arrivo.
Avvicinare le braccia al corpo va usato con moltissima cautela. La dimensione braccia avanti/mani vicino al corpo è quella più "sottile" ed la più diretta rappresentazione dell'interiorità del direttore.
Certamente l'uso improprio più comune è quello di indicare in questo modo il pianissimo.
Generalmente si dice: "la destra batte il tempo e la sinistra è per l'espressione". Non sarei così rigido. qui rispondo: dipende.
Arrivare ad una vera indipendenza fra le due mani passa per un lungo periodo in cui le due braccia devono battere "simmetricamente", non "parallelamente", ovviamente.
Avere la visone generale di una partitura non esime il direttore, (purtroppo?) dal dover anche "battere" il tempo.
Quello che volevo sottolineare è che dovendo ottemperare a quell'obbligo ineliminabile, è bene che questo sia fatto secondo modalità che tengano conto non di una gestualità "simbolica" (ci mettiamo d'accordo su quale gesto fare per indicare...) ma, se conosciuta, sostanziale, unitaria, insomma nella quale fra la sostanza e la... "forma" vi sia identità. Forse così è più chiaro?

Una postilla non da poco è altresì necessaria.
Quando si dice che il compito del direttore è quello di uniformare l'operato dei componenti dell'orchestra alla "sua" visione, qui non sono d'accordo.
Ciò a cui deve tendere il direttore non è alla realizzazione della "sua" visione, ma a come il brano "è" non a come lui pensa che sia, e come è per tutti e con il concorso di tutti. In altri termini questo è il motivo per il quale io scrivo in vari forum, riportare nella giusta dimensione l'esistenza di due termini che agiscono nel far musica: suono e coscienza umana.
La seconda è sempre disattesa, elusa, spesso vituperata, o semplicemente... sconosciuta o ritenuta non partecipe e si parla sempre e soltanto, inesorabilmente di suono.
La battaglie, le schermaglie, le guerre infiammate sulla direzione d'orchestra derivano dalla messa a confronto fra due concezioni:
da un lato quella corrente, definiamola per comodità "interpretativa"; dall'altro quella molto meno frequente che definirei "esecutivo/riconoscitiva. La domanda/sintesi potrebbe essere: cosa c'è di "interpretabile, ad esempio, in un intervallo di quinta (e se consideriamo che un brano di musica alla fine altro non è se non un confronto fra suoni nella orizzontalità - melodia - e nella verticalità -
armonia -) la domanda non risulta come molti sono portati a pensare, peregrina o addirittura "improponibile".
Qui si scatenano da un lato gli storici, i filosofi, gli ermeneuti, insomma quelli ritenuti, a torto secondo me, quelli che della musica "parlano", dall'altra, sentendo minato il loro terreno... "interpretativo"( spesso, purtroppo invece, molto più prosaicamente, "arbitrario" ) alzano la voce coloro che la musica la... "farebbero".
Con assoluta onestà intelletuale e in assoluta aderenza al tema argomento del post Battere il tempo si dice che che serve per: fare andare insieme l'orchestra, farne cogliere agli altri la maggiore "sicurezza", per "sincronia con battere e levare", ma che in fondo, a fronte di altri tipi di scrittura, può avvalesri di altri "ausili" collaterali quali, ad esempio, un cronometro.
Scusate, poi qui spesso si lamenta una mia certa "bastiancontrarietà".
Preciso che quanto sto per dire non deve essere letto come dettato da motivazioni di tipo narcisistico o da "saccente" (giuro che se non sollecitato oltre l'umana sopportazione in tal senso, non farò più accenni a questo aspetto).
Allora: il mio chiedere "da dove deriva la necessità di battere il tempo", auspicava la messa in campo di ragioni non sempre e solo, inesorabilmente dettate dal materiale.
Messa come la mettete voi (che in sostanza è come la mettono tutti ) fa capo solo al fatto che ci sono ragioni strutturali del tutto "interne" al materiale che impongono la necessità di "battere il tempo".
Io invece sposto l'accento sul fatto che gli elementi in gioco nel far musica sono due: il suono e... la coscienza umana.
Il secondo è l'aspetto sempre eluso, disatteso, non tenuto presente.
Ritmo, armonia, metro, melodia, dinamica, agogica, altro non sono se non PROIEZIONI di come funziona la coscienza che se trova un materiale col quale è possibile, per diretta corrispondenza, instaurare un rapporto ed avvalersene per esplicitare se stessa, allora con quello lavora.
Battere il tempo non è una necessità "strutturale" derivante dal brano, ma dalla modalità di appropriazione che l'umano mette inesorabilmente in azione quando si trova al cospetto della molteplicità.
E' perché non posso fare altrimenti, perché la mia coscienza funziona così, che ho bisogno che un fenomeno esterno a me sia ARTICOLATO per potermene appropriare. Allora, battere il tempo, non è ripeto, una necessità dettata dal materiale.
Il materiale di suo, offre solo una "disponibilità" ad essere utilizzato dalla coscienza perché questa vi trova una corrispondenza con le sue caratteristiche.

La proporzione

L'impulso proporzionato è stata la più rivoluzionaria scoperta di Celibidache, e possiamo dire che tutto il fondamento della direzione d'orchestra si basa su di esso, senza nulla togliere a quanto abbiamo già descritto. Abbiamo già parlato di un impulso che imprime al braccio quell'energia necessaria a vincere la forza di gravità, legata alla dinamica. Ma nel percorso che il braccio disegna, c'è una cosa più sottile e importante della dinamica, che è la figura che si va a battere (e di cui, quindi, si da il levare). Se ad es. un brano inizia con una figurazione di terzine, il braccio dovrà proporzionare una figura 1:2, cioè un battere e due levare; se il brano inizia con semiminime o crome (in un tempo in quarti), avrò una proporzione 1:1; se abbiamo delle quartine ci sarà una propozione 1:3 e così via. Questa proporzione deve essere contenuta nell'impulso, che ovviamente darà una maggiore energia quando il secondo membro è più elevato, e questo comporterà un maggiore sollevamento del braccio. Il braccio, se l'esecuzione è corretta, riuscirà a comunicare con incredibile efficacia e precisione a chi suona, il tipo di figura che si sta preparando, e senza che l'orchestra ne abbia la minima indicazione verbale dal direttore. La proporzione può essere cambiata anche all'interno di una battuta, perché è sempre l'anticipo di una nuova figura. Ad es. nell'adagio del concerto in do k 467 di Mozart, noi abbiamo, per l'appunto, un inizio di ribattuti terzinati, per cui la proporzione dovrà essere 1:2; sul quarto movimento, che è il levare del battere della seconda battuta, dove inizia il tema che non è in terzine ma si basa su una quartina, dovrò proporzionare 1:3.
Ancor più pesanti risultano alcuni cambi di tempo e ritmo di molti brani sinfonici, che spesso mettono in grave ambascia i direttori, che spesso si inventano delle figurazioni facilitanti, ma gravemente lesive del tessuto musicale previsto dall'autore (come il terzo movimento del concerto per pianoforte di Schumann), o addirittura dei movimenti a vuoto per segnare il nuovo tempo, che se risultano dilettanteschi e antimusicali prima dell'inizio di un brano, sono addirittura scandalosi quando realizzati all'interno (ne esiste un esempio nel video di una prova di Carlo Maria Giulini della nona sinfonia di Bruckner).

venerdì 12 marzo 2010

L'impulso - il levare metrico

Ciò che può vincere la forza di gravità e sollevare le braccia è un impulso che parte dal polso. Ovviamente l'impulso non può essere casuale, così come casuale non può essere il sollevamento del braccio. Da cosa dipende? Dipende in primo luogo dalla dinamica dell'inizio. Se il brano inizia nell'ambito delle dinamiche forti, occorrerà un impulso intenso, che solleverà proporzionalmente le braccia; se il brano inizia piano, l'impulso sarà debole, e di conseguenza il braccio si alzerà poco. Abbiamo già spiegato, infatti, che la dinamica è legata all'ampiezza del gesto. Dunque le braccia non devono essere sollevate con i muscoli degli arti stessi, ma con la forza dell'impulso, che come una molla fa "rimbalzare" le braccia verso l'alto, dopodiché esse ricadranno per forza di gravità (e questo lasciar ricadere le braccia è una cosa tutt'altro che semplice). Abbiamo, con questo, compiuto il primo movimento. Cosa succede in seguito è legato al ritmo e alla maturazione stessa del direttore. Infatti si apprenderà che non è necessario sempre battere tutti i movimenti. Per il momento però atteniamoci ai fondamenti e dunque battiamo tutto, anche se vedremo che esistono momenti in cui l'impulso dovrà essere più evidente e forte. Possiamo dire, per il momento, che gli impulsi sui vari movimenti saranno proporzionati all'intensità dei medesimi. Dunque, ad es., nella croce avremo un battere più deciso, un secondo movimento debole, e un impulso più sentito nel terzo tempo per portare il braccio sulla verticale del battere. A questo punto nascono tutte le particolarità e le eccezioni che dovremo esaminare, dagli inizi in pianissimo, quando l'impulso può essere così leggero da rischiare di non essere chiaramente percepito, agli inizi in levare, ecc. Cominciamo col dire che quando un direttore sa gestire una corretta gestualità basata sugli impulsi, si renderà conto che il gesto "suona", dunque l'impulso susciterà nell'orchestra un suono adeguato all'impulso stesso. Esistono anche gesti "muti"? Sì. Se l'orchestra ha ben capito come il direttore si rapporta alla produzione dei suoni, un gesto privo di impulso non farà scaturire alcun suono. Diciamo, ancor meglio, che l'assenza di impulso non autorizzerà alcuno strumentista a suonare. Dunque non c'è attacco. Ma anche questa gestualità, se saputa coscientemente gestire, può tornare utile. E' ciò che Celibidache definiva: "levare metrico". Non c'è mai un battere, ma solo tanti levare che possono dare il senso del tempo prima dell'inizio. Può servire al direttore alle prime armi a riflettere sul tempo da assegnare al brano, ma soprattutto può servire all'orchestra per avere chiara l'idea del tempo in un brano che inizi in pianissimo quando l'impulso sarà molto "piccolo". Il levare metrico genera nell'orchestra una sorta di "apnea" in attesa dell'impulso iniziale di grande efficacia per la concentrazione. Ovviamente non è da confondere il levare metrico con le battute "fuori" prima dell'inizio. Un conto è battere, che come abbiamo detto, generano, o dovrebbero generare musica, un altro conto è un movimento privo di impulsi, di forza, che quindi niente genera. Comunque anche questo, che potremmo definire un sussidio, è un aiuto per i giovani direttori, che molto raramente sarà da utilizzare nel corso della carriera professionale. Vedremo prossimamente gli argomenti che abbiamo lasciato in sospeso.

giovedì 11 marzo 2010

I riferimenti

[post di Raffaele Napoli del 2006, successivo al precedente]

Il muovere le braccia sottintende...la padronanza del peso delle braccia e la sua relazione con la forza di gravità.
"Che cosa "significa" e a cosa fa riferimento muoverle in certe direzioni ?"
Il "riferimento" è il fatto che viviamo in uno spazio tridimensionale e che quindi a quello facciamo riferimento quando ci collochiamo in un punto dello spazio per essere a nostra volta un "riferimento" per chi ci sta di fronte. Il "significato" è il richiamo alla nostra identità quali abitanti di questo pianeta che per poter vivere in questo ambiente fenomenico non possono prescindere dalle sue caratteristiche e che per interagire in esso e con gli altri esseri umani sottostanno inevitabilmente alle sue leggi di funzionamento. Il significato ultimo connesso al movimento delle braccia è quindi l'integrazione nel sistema fenomenico "TERRA" e la soluzione per trovare... l'UNO, necessità impellente ed imprescindibile della coscienza umana, quindi non più sistema "simbolico" ma relazione diretta e sostanziale. Infine aggiungi le associazioni mentali ulteriori che "allontanamento" (ad esempio il "due" del triangolo o il "tre" di una croce) o "avvicinamento"(il due di una croce) dal/al corpo, portano con sé. Nelle figure complesse (dal 5/8 in poi) la scelta "fraseologica" di dove collocare il... "tre" della croce, risulta fondamentale ai fini della corrispondenza fra linee tensive del brano e loro rappresentazione gestuale "sostanziale". [R.N.]

Le figure base

Prima di addentrarci nel complesso problema enunciato al termine del precedente post, facciamo una rapida sintesi delle figure fondamentali che il direttore deve conoscere per poter correttamente battere i tempi base. Le figure fondamentali sono "alla breve", il "triangolo" e la "croce". Con queste figure si possono battere praticamente tutti i tempi semplici e composti. Il tempo alla breve è apparentemente il più semplice, e si compone di due impulsi, il battere e il levare che si eseguono sulla verticale del punto di partenza. Nessuna deformazione verso l'interno o verso l'interno è giustificabile; è come se le braccia scorressero ai lati di un muro che le separa (ci eravamo dimenticati di dire che per l'apprendimento della tecnica direttoriale è bene che per molto tempo le braccia si muovano simmetricamente). Per spiegare compiutamente questo gesto, dovremmo parlare anche dell' "assorbimento" del battere, ma per non mettere troppa carne al fuoco, rimandiamo oltre questo argomento (come del resto quello dell'impulso). Il triangolo, che ovviamente è la figura base per i tempi ternari, si compone di un battere, di un movimento in fuori (verso destra con la destra) che porta al 2 quindi di un movimento che torna verso sinistra sulla verticale del battere per ricadere, per l'appunto, sull' "uno" successivo. Quindi si comprende come i gesti disegnino un triangolo, che da il nome alla figura. Abbiamo quindi la croce, tipica del 4/4, dove abbiamo un secondo movimento verso l'interno (a sinistra per il braccio destro), un movimento verso l'esterno per il "tre", e, come sempre, il ritorno sulla verticale per il 4 che potrà così ricadere per la forza di gravità sul battere successivo.
Descritte molto sinteticamente e forse un po' rozzamente le figure, la domanda che qualcuno può giustamente porre è: si, ma chi lo ho stabilisce che le figure sono queste? Non sono ne più ne meno che una convenzione? Andiamo a chiarire. Sul battere riteniamo ci sia poco da discutere; esso non può che trovarsi sul punto di partenza e non può che essere la ricaduta del braccio dopo una qualsivoglia figura. Dopo il battere, che segna l'impatto, abbiamo la risoluzione. Nel caso della breve, sarebbe assurdo qualunque movimento interno (cioè verso il corpo) o esterno; non dobbiamo far altro che portarci (così come in tutte le figure) sulla verticale del punto base, da dove inizierà la ricaduta, la risoluzione per l'appunto. Nel caso della croce, la necessità di portare il "due" verso l'esterno, è giustificato dal fatto che se portassimo il braccio verso l'interno, avremmo poi bisogno di troppa energia per portarci sul 3 (essendo un movimento verso il corpo, esso è introverso, dunque per "uscire" richiede parecchia energia); dall'uno noi abbiamo abbastanza energia per uscire verso il 2 e da questo non è necessaria molta energia per portarci sul 3, dove inizierà la ricaduta (quindi 2 movimenti di risoluzione a decrescere). Nella croce, il 2 è introverso, verso il corpo; differentemente dal triangolo, qui non è necessaria molta energia per uscire sul tre. Il tre, che come è noto è leggermente più accentato, rispetto al due, giustamente segna un punto di maggiore energia per portarci sul 4. Del resto una risoluzione, dopo l'impatto, a decrescere sarebbe poco logico. In un certo senso il 4 potremmo quasi definirlo un doppio due, con un secondo battere meno intenso.

mercoledì 10 marzo 2010

L'uomo binario

Una moltitudine di attività umane, anche di tipo biologico, si basano su un processo binario: il battito cardiaco, il passo, la respirazione. Anche il "respiro" musicale è di tipo binario: impatto e risoluzione. In alcuni casi la risoluzione può dividersi in due parti (e abbiamo i tempi ternari) e persino in tre (e abbiamo i tempi in quattro). L'impatto (che corrisponde al battere) è sempre e solo uno. I tempi superiori a 4 sono sempre composti, in quanto non è possibile suddividere la risoluzione in più di tre parti. Il battere ha questo nome non a caso. Come si possono giustificare quei direttori che il battere lo fanno "in su" o in altri modi che non siano... in battere? Ovviamente non si può. Ogni battere è la ricaduta del gesto sulla verticale del punto di partenza, è la risoluzione del levare precedente e quindi asseconderà la forza di gravità. Si tratta ora di chiarire cosa e come gestire la forza che vince la gravità, e quindi la o le risoluzioni.

I fondamenti

[Post di Raffaele Napoli, 6 aprile 2006]
"Quali sono i fondamenti della direzione d'orchestra.
Inevitabili risultano, come dimostrano molti argomenti riguardanti la direzione d'orchestra da me avviati, gli scontri fra concezioni "diverse". Chi legge, se dovesse formarsi una idea sulla direzione d'orchestra, è probabile che cercherebbe qualcuno che gli spiegasse non la tecnica, ma ciò che le sta dietro. Non a caso le due ultime grandi scuole di direzione sono state quelle di Franco Ferrara e di Sergiu Celibidache. Erano la sintesi ultima di due modi di rapportarsi buoni per qualunque disciplina:
1) "a me riesce tanto bene, fate come me" ( scuola definita "per imitazione")
2) "cerchiamo di cogliere i "criteri fondamentali" che stanno dietro a qualunque cosa"
Celibidache ovviamente era il paladino del secondo modo.
In un epoca "veloce" e troppo spesso anche, per questo, superficiale come la nostra, si crede che basti "muovere le braccia" secondo uno schema e tutto è risolto.
Che cosa sottintende il muovere le braccia?
Che cosa "significa" e a cosa fa riferimento muoverle in certe direzioni?
Che rapporto c'è fra il movimento delle braccia e la reazione che questo dovrebbe suscitare ?
Poi mi si viene a dire che io dò fastidio perché faccio prima le domande e poi vado a massacrare i malcapitati. Brutto modo di vedere la questione.
Io invece penso: " ma se uno non si è manco posto queste problematiche MA COME SI PERMETTE DI PARLARE DI DIREZIONE D'ORCHESTRA?
Se non si va ai "fondamentali" si sarà sempre esposti non solo ad un Raffaele Napoli qualunque che le pone, ma alla IMPOTENZA manifesta o celata ma che comunque, prima o poi, verrà sempre fuori quando ci si andrà a cimentare con il dirigere.
Ma c'è speranza: giovani assetati di risposte perché colgono la differenza fra "domande fondamentali" e "risposte affrettate da parte di chi domande non se ne è mai poste e manco pensa che esistano", ce ne sono ancora, ed è su questi giovani che dobbiamo fare affidamento. Il resto è l'effimero del mondo che si accende, si infiamma e come un covone di paglia, subito si estingue.
Il muovere le braccia sottintende...la padronanza del peso delle braccia e la sua relazione con la forza di gravità.
Che cosa "significa" e a cosa fa riferimento muoverle in certe direzioni?
Il "riferimento" è il fatto che viviamo in uno spazio tridimensionale e che quindi a quello facciamo riferimento quando ci collochiamo in un punto dello spazio per essere a nostra volta un "riferimento" per chi ci sta difronte. Il "significato" è il richiamo alla nostra identità quali abitanti di questo pianeta che per poter vivere in questo ambiente fenomenico non possono prescindere dalle sue caratteristiche e che per interagire in esso e con gli altri esseri umani sottostanno inevitabilmente alle sue leggi di funzionamento." [R.N.]

Il gesto

Di quando in quando inserirò nel blog interventi che il m° Raffaele Napoli ha svolto in diversi forum. Questo per non perdere un bagaglio di conoscenze e integrare con la puntualità, la competenza e la precisione che contraddistinguono il m° le mie indicazioni.

"Generalmente i direttori hanno poca coscienza del fatto che il gesto ....... suona. Franco Ferrara, l'unica volta che l'ho incontrato, mi disse, mentre stava dirigendo un... incapace: " ah, se la bacchetta suonasse..." come dire, questo sta facendo un disastro, non c'è alcun rapporto fra la musica e quello che lui fa, eppure l'orchestra continua a suonare quando, invece, in base a quello che lui sta facendo, dovrebbe fermarsi. Questo trova conferma nella indicazione che Celibidache dava all'orchestra di Monaco durante i corsi di direzione: "per corstesia suonate esattamente quello che lui dirige, altrimenti non si renderà mai conto di quello che sta facendo e della relazione che c'è fra il suo gesto e il risultato e si illuderà di essere lui a dirigere quando invece è semplicemnete l'orchestra che suona indipendentemente da quello che lui fa". Allora ? Il gesto in realtà... suona, non è solo simbolico, nel senso di una semplice convenzione. E come "suona" il gesto ? Avvalendosi della tridimensionalità. Noi viviamo in uno spazio tridimensionale e il gesto vi corrisponde. Allora se hai bisogno di ..... più suono nei contrabbassi, per indurli a dare più suono (se non basta quello che in quel momento, in relazione al contesto, stanno dando) amplierai il gesto verso il basso, quasi ad andare a prendere... in cantina tutta la profondità della gamma che un contrabbasso offre.
Questo vale anche per il contrario: se i contrabbassi stanno dando... troppo, conterrai il gesto battendo in un ambito che non... affonda mai verso il basso (spaziale) costringendoli (o meglio non autorizzandoli ) ad... "allargarsi" troppo. Beh, devo dire che quelli che potevano sembrare "espedienti", si sono rivelati... CODICE e funzionano. Certo non puoi pensare di dirigere sempre anticipando o "ottavando", queste sono le "risorse aggiuntive" quando l'ordinaria amministrazione non basta." [R.N.]

martedì 9 marzo 2010

Il direttore "trino"

La seconda questione riguarda la "tridimensionalità" del direttore, cioè il fatto che mediante le proprie braccia il direttore può gestire uno spazio in verticale, in orizzontale, in profondità e naturalmente in varie combinazioni. Prima di proseguire sarà bene precisare che questa tecnica, come la maggior parte del lavoro di Celibidache non nasce semplicemente da idee più o meno interessanti, ma da un serio lavoro di studio su leggi e comportamenti universali dell'uomo e poi da lui provati, riprovati, "distillati" in centinaia di concerti che potremmo definire "laboratori", e che egli ha lasciato in patrimonio all'umanità. Tanti sono e sono stati i docenti di direzione d'orchestra, ma quanti possono dire di possedere un bagaglio tecnico, filosofico e artistico di questa profondità e completezza? Probabilmente nessuno. Molti sono stati i direttori che hanno saputo fare grande musica, come Victor de Sabata e Wilhelm Furtwaengler, ma in quanti di essi si può parlare di un'autentica coscienza? Grande istinto, umiltà, studio indefesso, talento non comune, hanno creato personalità di spicco, di portata storica, ma di loro non abbiamo insegnamenti, una poetica trasmissibile e di cui i giovani possano avvalersi. Celibidache, per coloro che vogliano affrontare seriamente lo studio della musica e in particolare della direzione d'orchestra, ha lasciato, purtroppo non su carta, ma in decine di interviste, prove e concerti registrati e ai molti allievi, un bagaglio inestimabile di valori e assunti artistici di cui non ritengo esistano eguali. Il problema, per tutti, è avere una guida che possa aiutare a dipanare una matassa sicuramente molto complessa.
Per tornare al tema, facciamo alcune considerazioni. La verticalità del gesto è quella che ha più forte relazione con la gravità. Il braccio per alzarsi deve vincere la gravità e abbassandosi segue la legge. Vincere la forza di gravità richiede energia, tensione, mentre assecondarla è una risoluzione, non richiede alcun lavoro. Questo è un fatto che vedremo già nella suddivisione interna delle battute, ma che più in generale richiama la dinamica. Un gesto molto ampio verticalmente, quindi di maggior lavoro, farà scaturire naturalmente una maggior dinamica. Nella orizzontalità e profondità, le braccia si avvicinano e allontanano. Questo ha un rapporto con il mondo affettivo, chiusura e apertura, introversione ed estroversione; aspetti fondamentali nel percorso musicale da dipanare. L'altezza delle braccia, poi, ha anche una relazione con le ottave: braccia basse indurranno maggiore forza negli strumenti più gravi, braccia alte lo stesso negli strumenti più acuti. Ecco perché il direttore è bene che possa avere sempre a disposizione un podio di circa 10/15 cm. Stare allo stesso livello, o addirittura più in basso, degli orchestrali lo indurrà a tenere le braccia più in alto e un podio troppo alto lo indurrà a tenerle basse, con la difficoltà, quindi, di gestire correttamente le ottave, la difficoltà, cioè, di chiedere più suono agli strumenti gravi o acuti quando necessita.

lunedì 8 marzo 2010

Da dove partire?

Ovviamente la tecnica di un direttore d'orchestra inizia dal gesto ... di partenza, ovvero da quell'impulso che mette in moto l'orchestra. Sul gesto (e avant geste)di avvio, se ne sentono, leggono e vedono davvero di tutti i colori. Piuttosto diffuse sono le battute "fuori". Una intera battuta fuori? Mhh, è considerata piuttosto dilettantesca come metodologia, anche se non è raro vedere anche celeberrimi direttori, come Muti e Karajan, battere diversi colpi a vuoto prima della partenza. Ma quanta musica c'è o ci può essere in quei colpi? E' ovvio che è del tutto illogico e fuori luogo questo approccio. Ogni attacco ha il suo levare, e tanto basta (!!) per offrire al complesso che suona la giusta indicazione di tempo, figurazione e dinamica. Ovviamente a patto che questo impulso abbia in sè tutta una serie di elementi che inequivocabilmente producano in chi suona lo stimolo a produrre quel suono con quelle caratteristiche. Alla tecnica dell'attacco Celibidache dedicava molto tempo, e un tempo lungo occorre per apprendere senza esitazioni a produrre perfettamente questo gesto. Del resto se pensiamo che "la fine è contenuta dell'inizio" (frase su cui torneremo più volte), è logico che non si può iniziare un percorso artistico con qualcosa di approssimativo, esitante, vago o privo di un "senso" (cioè una direzione). Nell'inizio è contenuta in nuce tutta la composizione che ci apprestiamo ad eseguire, quindi per noi non solo "chi ben comincia è a metà dell'opera", come recita il proverbio, ma addirittura ha nelle sue mani l'intera partitura. Cosa bisogna apprendere per arrivare ad eseguire un perfetto gesto di partenza? Per prima cosa è indispensabile prendere coscienza del peso delle proprie braccia. Esercizi di rilassamento e scioltezza sono utili per giungere a percepire che il braccio ha un peso, e che il gesto del direttore è in forte relazione con questo. Raggiunto questo obiettivo, è necessario raggiungere la posizione di minima tensione. Naturalmente sono argomenti impossibili da trattare verbalmente, occorre la guida di un insegnante; qui ne parliamo a puro scopo orientativo. La posizione di partenza permette al direttore di essere visto da ogni posizione, in un atteggiamento semplice ma autorevole. La posizione delle braccia è quello della minima tensione, ed è anche quello dove sempre torneranno al termine di ogni impulso, cioè quando la gravità, che ovviamente è in diretta relazione col peso del braccio, farà naturalmente ricadere l'arto.

domenica 7 marzo 2010

Il direttore d'orchestra, questo sconosciuto!

La prima cosa che forse merita segnalare, è che il direttore (d'orchestra, di coro, di banda, ...) deve possedere una tecnica, assolutamente in analogia con quanto necessita per suonare qualsiasi (altro) strumento. Troppi personaggi, anche totalmente a digiuno di musica, o in altri casi ottimi strumentisti, pensano che dirigere consista "semplicemente" nel prendere una bacchetta in mano (nel migliore dei casi) e sventolarla grosso modo seguendo un tempo più o meno come viene insegnato a solfeggio. In molti casi neanche questo perché troppo meccanico o scontato, meglio un po' di coreografia e quindi si parte con ampie sbracciate o giochetti "magici" di mani. Ecco, invece, che esiste una tecnica, complessa ma semplice nei suoi fondamenti, che richiede lungo tempo per essere appresa e molto esercizio. Il direttore ha due ruoli fondamentali: servire all'orchestra per ogni necessità di tipo ritmico e sonoro, e rappresentarne la coscienza musicale, quindi mettere in relazione ogni orchestrale con il tutto, cioè con tutta l'orchestra e con la pagina musicale che si va ad eseguire. Sono le due prerogative senza le quali è impossibile far musica.

Premessa

In questo blog si parlerà di direzione d'orchestra e fenomenologia della musica e tutto quanto può confluire in questi argomenti. Il pensiero di base è quello derivato dagli insegnamenti e dall'esperienza del grande Maestro Sergiu Celibidache e del suo allievo Raffaele Napoli, di cui sono allievo. Il motto di questa scuola è: "il suono non è musica, ma può diventare musica". Per meglio affrontare gli argomenti, mi aspetto anche domande, osservazioni, sollecitazioni da chi è interessato nonché interventi da parte di chi ne sa (M° Napoli in testa).