martedì 30 novembre 2010

Del tempo 2

In una scena del film "Le jardin de Celibidache", si vede il M° durante una lezione che disegna alcune strane figure, come alberi, distanziati tra loro. E' una rappresentazione semplice ma efficace del suono col suo "corredo" di armonici e risonanze. La massa sonora prodotta dallo strumento o dall'insieme degli strumenti, o voci, si espanderà nella sala ove avviene l'esecuzione e ne subirà ulteriore amplificazione o modificazione. Dunque i suoni, nella loro interezza, non dovranno raggiungere gli ascoltatori troppo ravvicinati tra loro, altrimenti una parte della ricchezza del suono andrà a sovrapporsi a quella del suono successivo. In questo caso si avrà la sensazione di un tempo eccessivamente rapido. Se invece tra le "chiome" dei suoni sussiste dello spazio vuoto, ovvero c'è una decadenza del fenomeno sonoro prima del suono successivo, l'impressione sarà quella di un tempo troppo lento.
Fin qui la teoria. Di fatto quanti realmente fanno riferimento a questi criteri? Pensiamo ai tanti "filologi" che si accapigliano per stabilire se vanno o meno osservati i metronomi messi (postumi) da Beethoven alle proprie sinfonie. Ma dove e quando si possono osservare indicazioni metronometriche? Praticamente mai. Il metronomo non fa parte del processo musicale, è uno strumento esterno, e non può "piegarsi" alle esigenze dell'ambiente in cui viene eseguito un brano. Ma ci sono altre questioni. Quanti sono in grado di cogliere realmente la ricchezza, la "pressione verticale" durante un'esecuzione? Nell'educazione musicale ben raramente si parla di armonici, a livello pratico, e ben raramente si cerca di allenare le orecchie dei discenti a coglierli. Dunque, chi sa ascoltare tutta la massa sonora che può provenire da un complesso strumenatale, saprà anche individuare con più proprietà qual è il "tempo giusto" di esecuzione. Chi si rifà solo a indicazioni teoriche, chi decide a tavolino (ricordo nella trasmissione "orchestra" Georg Solti che, al pianoforte, decideva che il Don Juan di R. Strauss cambiava parecchio spostando anche solo di una tacca il metronomo. E' possibile che un pianoforte e un'orchestra in ambienti del tutto diversi, possano essere così simili da offrire lo stesso risultato in termini di leggibilità musicale? Se anche, per caso, lo fossero, è possibile impostare un lavoro di determinazione del tempo in tal modo? Ritengo di no.) evidentemente non usa le orecchie per far musica ma vorrebbe assolutizzare il processo, dimenticando la regola principale, e cioè che la musica nasce e muore mentra la si fa, non può essere progettata a priori se non a grandi linee. Prima di tutto bisogna avere l'orecchio molto ben allenato, così da sentire tutto ciò che c'è da sentire, o almeno tutto il possibile che il percorso educativo consenta. In secondo luogo bisogna studiare bene il luogo ove si esegue un concerto, nella condizione più simile a quella di esecuzione. Nonostante ciò ricordiamo che tutto si deciderà sul momento, perché le condizioni climatiche, la quantità di pubblico, le condizioni degli esecutori e mille altri imprevisti potranno far variare, poco o tanto, queste condizioni, quindi il direttore che non esegue meccanicamente, ma facendosi guidare dal proprio esperto orecchio, potrà ulteriormente variare il tempo di esecuzione sì da renderlo il più "giusto" possibile, ovvero tale per cui tutta la ricchezza sonora del brano possa giungere agli ascoltatori in sala.
Il problema non è ancora risolto. Un brano può iniziare con note molto lunghe e distanti tra loro, ma nel corso del suo dipanamento può arrivare a mettere decine di note vicinissime tra loro (come una fuga, ad es.). Dunque come si decide il tempo in questi casi, visto che non si può pensare di iniziare rapidamente e poi rallentare, anche se una minima variabilità è possibile, sempreché non ci abbia già pensato l'autore a dare indicazioni in merito. Come si era già detto all'inizio, si parla di pressione verticale, dunque il punto da prendere in considerazione sarà quello con la maggior pressione (che non è necessariamente quello con più note, perché non è detto che tante note producano tanti armonici, questo è anche un problema di dinamica).

giovedì 25 novembre 2010

Del tempo

Uno degli argomenti chiave della fenomenologia della musica celibidachiana riguarda il tempo di esecuzione di un brano. E' un argomento complesso e richiederà forse qualche post.
Una domanda: è lo stesso parlare di "velocità" di esecuzione e di "tempo"?
No, non è la stessa cosa. Quando parliamo di velocità noi ci riferiamo a un dato esterno alla musica. Se noi cronometriamo la durata di un brano, o misuriamo la velocità con un metronomo, facciamo riferimento a strumenti e dati che non stanno nella musica. Il tempo, invece, appartiene all'esecuzione. Esso si può definire "una condizione" della musica. Una condizione alquanto difficoltosa da cogliere, e infatti su di esso si scrivono e si dicono le cose più oscene, giudicando questa o quella esecuzione come "lenta" o "veloce" o "giusta" senza aver alcun quadro di criteri a cui riferirsi, ma soprattuto senza aver quella cultura e sensibilità uditiva necessaria per saper cogliere tutti gli elementi che permettano realmente di cogliere quando un'esecuzione rispetta il giusto tempo. In questo argomento si rivela anche la motivazione fondamentale per cui Celibidache era così contrario alla registrazione discografica. Perché un brano possa rivelare la sua essenza musicale, esecutore e ascoltatore devono condividere lo stesso spazio, lo stesso ambiente. Solo in questo modo è possibile cogliere da parte dell'ascoltore se il tempo stabilito dall'esecutore è corretto. Il tempo è quella condizione che permette a tutti gli elementi della composizione di trovare la giusta relazione tra loro. Esiste il tempo giusto? Certamente. Esiste il tempo di esecuzione giusto in assoluto? NO! Molti detrattori di Celibidache, che non hanno mai approfondito il discorso fenomenologico, hanno spesso ritenuto che egli, quando parlava di Verità e di esecuzione perfetta si riferisse a un'esecuzione modello, buona per ogni occasione. Niente di più falso. Ogni brano musicale nasce e muore ad ogni concerto e solo le condizioni di quel momento permettono di scegliere, definire, individuare il giusto tempo di esecuzione: hic et nunc. Nessuna registrazione potrà restituire le condizioni del momento e del luogo del concerto, dunque il tempo per chi ascolta sarà sempre un tempo "sbagliato". Una fotografia, che come tale non ha vita, giusto una testimonianza.

domenica 21 novembre 2010

... continuando

Per opere di ampio respiro, si può anche ipotizzare un PM diciamo Generale, di tutta l'opera, ma è evidente che per poterci appropriare di ogni sezione facciamo riferimento a ciò che avviene in ciascuna di esse. E' un po' quello che succede in una sinfonia in 4 movimenti: ognuno ha il suo PM, ma puoi esercitarti a cercarne uno che si riferisca alla sinfonia intera.

C'è una considerazione da fare a questo proposito: tutto sottostà ad un bisogno ineliminabile della nostra coscienza, l'articolazione.
Perché un fenomeno a lei esterno le risulti appropriabile deve essere articolato e quando la "massa" alla quale fai riferimento è troppo grande (estesa), automaticamente la articoli in sezioni.
Questo fa riferimento alla nostra natura, al nostro modo di stare in questa realtà fenomenica: è così e basta.

La psicologia della Gestalt ci aiuta moltissimo a "sondare" queste modalità di funzionamento della nostra "percezione" e la lettura di Ehrenzweg, aggiunge un taglio psicanalitico interessante a tutta la faccenda.
Insomma per i curiosi c'è materia di approfondimento, per chi si contenta,invece, l'escursione godimento/sofferenza oscilla fra " + 10 e - 10 ", se invece ambisci ad una pienezza di godimento "+ 1000 " devi ovviamente accettare che questo comporta il rischio di soffrire, anche "- 1000".
Forse è per questo che a molti questi (apparenti) discorsi - ma in realtà , suggerimenti e proposte per "vissuti" più appaganti in quanto più consoni alla nostra natura - risultano così tanto materia dalla quale difendersi.
Ma...

Se c'è una materia non prevista nei Conservatori di musica italiani questa è sicuramente l'educazione dell'orecchio.

Questo è un retaggio dell'approccio tutto da popoli neo-latini che trova la sua sintesi nella frase: "il talento o ce l'hai o non ce l'hai".
Insomma, qui si dice: "musica? è roba per ...talentati", anzi, se poco poco provi a fare discorsi di ...educazione dell'orecchio, sotto sotto vuol dire che talento, ...
uhm, ne hai poco (o non abbastanza - quasi che fosse "quantificabile").

Gli anglosassoni, più pragmatici, hanno sviluppato molti metodi per lo sviluppo dell'orecchio, arrivando anche a quello armonico.

Mi permetto di andare oltre.

Quando siamo arrivati non con gli occhi (leggendo cioè una pagina di musica e facendone "ad occhio" l'analisi armonica, dicendo ad esempio "qui siamo in do minore, poi qui modula a sib maggiore), ma con le ... orecchie a cogliere il dipanarsi delle armonie, questo che risultato pratico da un punto esecutivo genera nelle azioni dell'esecutore?

E ai fini dell'erleben, del vivere il processo come tragitto di coscienza, che ce ne facciamo di tutto questo?

Mi sono sempre chiesto ascoltando uno che suona o suona dirigendo o dirige suonando: "ma quello cosa "vive" del tragitto tensivo del brano se si capisce perfettamente da come suona che non sta vivendo i rapporti tensivi? che mi/ci sta suonando? In base a cosa ... suona, da dove a dove crede di starci portando se non sta facendo altro che una ... "corsa sul posto" perché non ha ancora risolto la prima articolazione, figuriamoci passare alla seconda?

Già è un grande passo avanti riconoscere la concatenazione I - IV - V - I, sia nelle tonalità maggiori che nelle tonalità minori(lavoro sistematico e quotidiano, necessario per chi, musicista, lo è principalmente attraverso la pratica di strumenti monodici).

Già riuscire a percepire sonata per sonata, sinfonia per sinfonia, quartetto per quartetto quando si è sul 1° quando sul 4° e quando sul 5° grado, è un passo avanti nella padronanza "tensiva" di una composizione, premessa ineliminabile se poi la si vuole anche eseguire e quindi renderne percepibile anche agli altri l'evolversi della "tensione".

sabato 20 novembre 2010

Perché è così importante il PM ?

Perché una volta individuato ci permette di comprendere da dove a dove il brano espande e da dove a dove ... contrae, distende.

Ora non bisogna pensare che la prima fase, l'estroversione, sia tutta in salita e la seconda, l'introversione, sia tutta in discesa.
Abbiamo già detto che affinché un fenomeno esterno a noi sia per noi appropriabile, deve avere una caratteristica fondamentale: deve essere articolato.
Bene. Allora l'andamento di ciascuna fase, sia l'estroversione che l'introversione, sarà articolato.
L'andamento sarà ad onde.

Questo che significa ?
Che il contrasto, per crescere e raggiungere il suo punto massimo, deve vincere la tendenza naturale di qualsiasi fenomeno: scomparire.
In qualche modo, facendo un esempio improprio: è come sollevare un oggetto pesante e poi lasciarlo cadere: vincere la forza di gravità, richiede più energia che assecondarla.
Allora per arrivare al PM bisogna vincere la tendenza a scomparire, tornare a zero, va con la tendenza naturale.
Ecco perché il punto massimo di qualsiasi composizione si colloca, generalmente, a 3/4 della composizione (questo aiuta nei casi ... dubbi o fuorvianti a capire se il tragitto dell'INTROVERSIONE è troppo o troppo poco per scaricare la tensione accumulata).

Questo è determinante, da comprendere, per un esecutore.
Quante volte, data la non comprensione di questo, accade che il brano è finito ma noi (ascoltatori) stiamo ancora ... ansimando perché l'esecutore ha "caricato" la sua esecuzione anche oltre il p.to massimo, o, caso contrario, ha distribuito male la dinamica e, molto prima della fine, abbiamo la sensazione che il brano sia finito e il resto ci sembra ridondante dato che la tensione, per come è stata esplicitata dall'esecutore, è finita, è terminata prima della fine sonora del brano.
Fare queste considerazioni è utile, aiuta a capire e comprendere meglio sia il compositore (può darsi che della cattiva gestione del processo tensivo, sia lui il responsabile) insomma è il brano che è scritto male; sia l'esecutore in quanto è lui che non ha capito e allora è ... impotente, incapace di padroneggiare il processo tensivo e il risultato è che fa casino!.

Allora : "interpretazione" o "ri-conoscimento " ?

Spie indicative e trabocchetti, inganni.
C'è la tendenza, specialmente quando si inizia a navigare per questi mari, a fare alcuni abbinamenti apparentemente logici, ma non musicali.
Ad esempio: beh , se tutti i parametri nel PM, arrivano al massimo, allora per quanto riguarda la dinamica, il PM coinciderà con il fortissimo.
Uuuuhm, at-ten-zio-ne!
Generalmente questo è vero per i classici, già i romantici lavorano ad un livello più sottile e allora, se un brano inizia nel fortissimo, c'è caso che il contrasto più forte da un p.to di vista dinamico sia fra il fortissimo iniziale e la zona pianissimo del PM. Non dobbiamo dimenticare che il PM è il punto di arrivo della tensione che è generata dai contrasti, quindi è il confronto che viene ad essere ... contrastato.
In questi casi quello che aiuta molto è la distanza armonica, la tonalità più lontana ( misurando per quinte ) alla quale si arriva rispetto all'inizio e il PM (sempre generalmente) è facilmente collocabile in una zona che precede il ritorno alla ripresa (non nel senso della forma sonata, ma di un ritorno a casa). Questo detto perché se analizzando si hanno forti dubbi sulla sua identificazione, un modulo ritmico o il ritorno alla tonalità iniziale fanno da spia che il PM possa essere ciò che di più teso precede questo "inizio del ritorno".
Un po' come i funghi detti "spie", sono quelli piccolini che fanno capire che ci troviamo in zona ... porcino.

Essendo il PM per definiziione "quel punto oltre il quale la tensione non potendo espandere torna indietro", è evidente che finchè c'è un contrasto forte la tensione non è esaurita ed ecco che in un concerto solistico, il momento del contrasto più forte sta nella cadenza.