domenica 18 settembre 2011

La musica "di dentro"

Ciò che si arriva a comprendere, grazie agli studi fenomenologici e al "lascito" celibidachiano, è che la musica non è un fenomeno esterno all'uomo, ma interno ad esso. Analogamente il gesto direttoriale non è e non deve essere "convenzionale", ma è musica anch'esso, movimento dalla coscienza del direttore verso le coscienze degli esecutori materiali. Si passa oltre la comprensione e la vista del gesto, che non sono così necessari, essendo una comunicazione che fa riferimento all'uomo, al suo modo di essere, cioè non ha bisogno di mediazione, non ha bisogno di spiegazioni, di interpretazioni. Il gesto che fa riferimento alla Musica, suscita e fa scaturire immediatamente una reazione più corretta, subito più vicina a come la pagina che si sta eseguendo "è". Naturalmente, così come per poter sentire la musica nella sua verità occorre quel processo di purificazione della coscienza, anche l'apprendimento del gesto vero deve percorrere la stessa strada. Il direttore, proprio riguardo al gesto, è tra i personaggi della musica più sottoposto alle lusinghe della vanità, del narcisismo, a causa del suo ruolo slegato materialmente dalla necessità di azionare uno strumento meccanico, e in questo senso il percorso degli ultimi decenni è andato sempre più allontanandosi dalla sua vera ragion d'essere. Oggi stuoli di direttore non si sentono e non vogliono in alcun modo sentirsi al servizio dell'orchestra che dirigono, interpretando questo concetto come un'umiliazione (lo stesso Toscanini apostrofò un orchestrale che non aveva attaccato con precisione dicendo che lui, Toscanini, non era lì per contargli le battute). Invece è proprio il contrario, anche se non è l'unica ragione. Dobbiamo anche dire che in moltissimi casi probabilmente questi direttori non hanno neanche una vera capacità di dare attacchi precisi e plurimi all'orchestra, che si aggiusta da sola. Si sente dire sempre più spesso di orchestre ottime che "suonano da sole"; giusto, ma con quale coscienza? Se si ritiene che un'orchestra riesca a suonare un brano musicale anche di una certa difficoltà senza la presenza di un direttore, e riteniamo che il "risultato" sia grossomodo pari a quello ottenuto quando invece un direttore c'è, abbiamo fatto le seguenti scoperte: il direttore non serve, perché non fa musica; l'orchestra "suona", non musica; l'idea di una unificazione, vuoi del brano musicale, vuoi della moltitudine di esecutori come se fosse un unico strumento, è ben lontana; l'ascoltatore non ha la più pallida idea di cosa voglia dire tutto ciò!!!

mercoledì 3 agosto 2011

Il nemico ego

Quando si affronta una disciplina artistica, come può essere la Musica nella sua più alta accezione, o anche la sola direzione d'orchestra, per quanto è logico che non può essere disgiunta poi da un discorso musicale più ampio, il nemico più temibile e coriaceo da debellare è costituito dal nostro ego e, nel caso della direzione, in particolare da una proiezione narcisistica di sè. Il pensiero di sè stessi su un podio, al centro di un'ampia sala, da un lato con gli occhi degli orchestrali che cercano quegli stimoli per produrre, e dell'altro quelli del pubblico, creano nel proprio animo una sensazione di piacere che distrugge ogni necessità artistica. Da qui nascono quelle fantasie esteriori, come i "giochi di mani" di alcuni direttori, che diventano famosi per quelle evoluzioni sinuose delle dita nell'aria, oppure similare ma con la bacchetta fluttuante; da qui in poi tutta una serie di aspetti puramente esteriori, quali gli occhi chiusi oppure super mobili ("dirigere con gli occhi"...), o i lanci di capelli (anche il giovane Celibidache ne soffriva), o la sofferenza, il pianto o il riso disegnati sul volto, quasi come un mimo. Sì, perché finisce che poi il direttore si allontana sempre più dal proprio ruolo per diventare una sorta di mimo-ballerino-attore sotto i riflettori. Le stesse copertine dei dischi sono emblematiche, con le pose plastiche, feroci, sognanti, furiose, ecc. dei beniamini del pubblico. Il quale spesso è portato a preferire un direttore ad altri, perché più "affascinante", se non addirittura perché più bello, più giovane, più sensuale... e via dicendo, cioè tutta una serie di caratteri piuttosto lontani dal ruolo che il direttore dovrebbe avere in primo luogo. Non stiamo professando l'inerzia, la mollezza, l'inamovibilità del direttore, e nemmeno la mancanza di carisma, di personalità, di determinazione. Ma queste non vanno confuse con le altre. Se non si esclude il lato narcisistico ed egocentrico, l'accesso all'Arte sarà sempre negato. Una buona disposizione, un istinto per una certa disciplina potranno aiutare a fare carriera, ma questo non vuol dire fare Arte. La solitudine del direttore, che sta come la statua di Apollo sul podio, per quanto si diffonda in sorrisi e frasi amichevoli, non avrà mai la sensibilità necessaria a "unificare" l'orchestra, a mettere in relazione le varie sezioni, ovvero le persone che ne fanno parte, ammesso che sia realmente interessato a questo argomento. Infatti la forza del proprio ego si riverserà sul tipo di "prodotto" da "confezionare", e quindi non un prodotto realmente artistico, ma che "venda", quindi originale (facendo magari cose impreviste, tipo forti e piani dove non si erano mai sentiti, senza alcun criterio, o correndo o rallentando molto...), cercando sempre suoni molto "belli", ma privi di significato, creando, insomma, un collage di soprammobili tanto carini quanto inutili e fuori posto.

sabato 30 luglio 2011

Universalità della musica

Tutte le volte che parlano i "grandi" della musica, ricorre sempre questo ritornello: "la musica è un linguaggio universale che parla a tutti i popoli". A parte che la musica non si può definire un linguaggio, tutt'al più ne utilizza alcune proprietà per motivi di comunicazione pratica, c'è poi da chiedersi in cosa consisterebbe la sua universalità se, appena si fa cenno alla questione delle reazioni della coscienza dell'uomo a determinati stimoli sonori, subito molti si inalberano affermando che la tonalità e gli intervalli ad essa relativi sono un' "abitudine" degli occidentali, ma le tribù, gli orientali, gli arabi, ecc., non hanno intrapreso la stessa strada, dunque dire che ogni popolo reagisce uniformemente alla proposta di una quinta ascendente o discendente, secondo loro è una sciocchezza. Intanto, forse, dovrebbero provare a prendere un po' di persone di etnie diverse e provare a sottoporli a un test, prima di affermare se è o non è vero. Ma passiamo oltre. Da qualche mese su alcune TV circola una serie molto interessante: "Lie to me", dove un dottore si è ultraspecializzato nel riconoscimento dei segni del corpo, grazie ai quale riesce sempre a capire quando una persona mente, o addirittura a ottenere risposte senza l'uso della parola. E, si dice in diversi momenti, per specializzarsi è addirittura rimasto molto tempo a contatto con tribù e popolazioni lontane dalle civiltà "evolute". Cioè ha colto segnali universali dell'uomo, ovvero della sua coscienza, che affiorano ai sensi ed è possibile 'riconoscerli' (altro termine chiave). C'è da chiedere a questi "soloni" della musica in cosa consisterebbe l'universalità della musica, se diamo per buono che ogni popolo usa un linguaggio diverso. Allora la musica, se questo fosse vero, non rispecchierebbe che la "babele" dei linguaggi verbali, un linguaggio "occidentale", un linguaggio "orientale", un linguaggio "arabo", e così via. Cosa ci sarebbe di così straordinario e accomunante? La verità naturalmente è tutta opposta, cioè a fronte di linguaggi anche improntati a diversità, per cultura, stile di vita, mezzi a disposizione, esiste sempre in profondità una sensibilità comune a determinati stimoli. L'intervallo non è interpretabile, non è legato a stili di vita o cultura, ma è qualcosa che appartiene al fisico (struttura dell'orecchio) e alla coscienza umana, nonché a fenomeni fisici, quali gli armonici, che non appartengono a caratteri locali o culturali, ma universali, unidirezionali.

giovedì 14 luglio 2011

Storia della direzione d'orchestra

... poi è arrivato Sergiu Celibidache eeeee...sta storiella della direzione d'orchestra è EVAPORATA. Rispetto ad una massa vagante di "descrittivi", di tecnici simbolici senza sostanza, lui ci ha detto PERCHE' un certo gesto e non un altro, insomma è andato alla ontologia e non si è fermato alla esteriorità. Del manuale di Scherchen Celi diceva "l'ha scritto ma non lo ha letto". Certo, se uno è "ignorante", anche dal manuale di Scherchen crede di poter ricavare indicazioni utili. Ma senza fare troppi giri di parole "tu" che vai cercando? Celibidache la mette subito giù dura: da un lato c'è la materia ( caduca, effimera, transeunte), dall'altro c'è lo spirito (permanente, sostanziale, ...eterno). Tu? Intendo tu che chiedi di scuole, di seminarietti, di corsini, corsoni, masterocchi, I livelli e II livelli, fullimmersion, e "già che me trovavo mo me faccio sto corsetto", tu che vai cercando? Da che parte vuoi stare? Se cerchi l'effimero, il descrittivo, fondamentalmente la genericità senza sostanza, ti prendi il Rudolf e ad esempio a pg. 107, capitolo 13° e lì "troveresti" la soluzione del come si batte un 6/8. Addirittura te ne vengono proposti ben due tipi: german style (stile tedesco o "alla tedesca" come dicono alcuni, forse ricordando i concerti di Vivaldi come quello..."alla rustica") e italian style. FANTASTICO , adesso sì che ne sai davvero qualcosa, gli puoi dare perfino un nome e ti senti...edotto in materia, puoi sbattere in faccia ai ciucci come te addirittura non uno ma due modi di batterlo. Ma il problema resti sempre tu con la tua evoluzione...spirituale. PERCHE' si DEVE battere in un modo e NON in un altro? Quale è la ragione sostanziale alla quale fare riferimento? Ma questa domanda presuppone che da parte tua ci sia la sensibilità, il retroterra spirituale perché tu ne possa sentire la necessità (intendo di una ragione più profonda che non sia una mera analisi descrittiva). Celibidache per ogni aspetto della musica e della direzione d'orchestra si è posto in questa prospettiva, nessuno mai prima di lui lo aveva fatto, tutti brancolavano nei condizionali: "io farei", "secondo me bisognerebbe", "in questo caso si potrebbe", tale e quale ai ciechi di Bruegel, uno appresso all'altro e tutti destinati a cadere nel burrone. Ma ripeto ancora...tu? a che livello di evoluzione spirituale ti trovi? Solo partendo da questa domanda così personale si può tentare un percorso, altrimenti bisogna prendere coscienza del fatto che stai nel quadro di Bruegel e purtroppo senza saperlo...

Una cosa non è vera perché l'ha detta Celibidache, ma è Celibidache che la dice perché è vera

martedì 22 marzo 2011

... prosegue...

1) secondo voi vi è un'opera per organo dove si senta la mancanza di dinamiche?

- R. : In tutte se ne sente la mancanza.

2) Ovvero, se l'autore ne avesse avuto la possibilità, le avrebbe inserite?

- R. : qui si apre una questione più interessante. In generale non è che è solo in base alle indicazioni del compositore che l'esecutore fa uso della dinamica.
Da un lato c'è il compositore che scrive ad esempio "f" (forte) e così definisce un ambito dinamico. Ma questo è solo un aspetto. Infatti non è che il compositore, per ogni nota, scrive con quale dinamica debba essere resa sonoramente. Si aspetta che il resto lo metta l'esecutore, solo che con il tempo la coscienza si è andata obnubilando e l'attenzione alle relazioni tra i suoni si è andata perdendo. Si tratta di recuperarla...

Ora: questo cosa vuol dire ?

Un esempio pratico: inizio della strafamosissimissima sinfonia n° 40 di Mozart . K. 550, sol minore.

Alla prima misura Mozart scrive "p" (piano). Bene. Tutto risolto ?
Uhm. La prossima indicazione dinamica sarà data da Mozart a metà di misura 16 : "f" (forte).

Che si fa ? Un filologo ....ragio-niere ...ragio-nerebbe (eh, eh, eh) così: c'è scritto piano? Io faccio piano. Arriva il forte? Io faccio forte. Mica si scherza, io sono un filologo e faccio esattamente quello che c'è scritto, mica mi permetto licenze, io sono uno che:
1) attraverso ricerche su documenti attendibili cerca di avere sott'occhio un testo originale o a quello più fedele possibile (ottimo, questa è la cosa più meritoria che possa fare la filologia)
2) suona con strumenti originali (e fino qui...),
3)cerca di riprodurre stilemi e prassi esecutiva dell'epoca (e anche questa passi...)
4) mi attengo scrupolosamente alle indicazioni del testo (qui invece casca l'a... Se attenersi ...scrupolosamente vuol dire appunto che GUAI se anche una nota sola di quelle contenute nelle 15 misure e mezza viene men che meno [o più che meno...] diversa dal piano iniziale che io esecutore ho deciso di ...adottare, allora significa che non sto rispettando la volontà dell'autore).

Sembrerà paradossale questo modo di procedere che io attribuisco al ...filologo. In realtà molta filologia di questi ragionamenti si pasce.

Questo mio argomentare cosa vuole arrivare a dire? certo, nel corso del XX secolo siamo arrivati anche a compositori che scrivevano una indicazione dinamica sotto ogni nota.
In realtà non si tratta di arrivare a questi eccessi. La domanda è sempre quella: la dinamica a che serve?
Ora quindi per rispondere compiutamente alla seconda domanda: non è solo, per il compositore, un problema di averne o meno l'opportunità, lui scrivendo la dinamica indica UN AMBITO (che risponde ad una logica di creazione, anche in ambito dinamico, di ...contrasti. Ma va ?...Oh, ma guarda un po'...)
All'interno di questo ambito l'esecutore dovrà avvalersi della dinamica per chiarire tutte le relazioni ...tensive che animano il brano nel suo evolversi.
Per tornare al nostro esempio Mozartiano, il : mib-re-rè-e/mib-re-rè-e/mib-re-rè-e-sib/sib-la-so-ol/sol-fa-mi-ib/mib-re-do-o-do-o , ha fatto scervellare intere generazioni di "interpreti" su come si dovesse eseguire dinamicamente quella serie di ripetizioni mib-re-rè-e.
La musica sta ...anche tutta qui.

La dinamica è la forza estrinseca di un fenomeno, della quale noi disponiamo - ci avvaliamo - per rendere evidenti le relazioni tensive ...intrinseche. Questo vuol dire che quelle ripetizioni hanno un valore tensivo intrinseco cioè indipendente dal nostro volerglielo attribuire o meno: ce l'hanno e basta. La partita si gioca quando arriva la nostra volontà di "sonorizzare" una pagina scritta. Eh, ...qui arriva il bello. Tutti saremo nudi: si capirà , proprio da come renderemo attraverso la dinamica quella pagina scritta, che cosa abbiamo capito delle relazioni esistenti fra quei fenomeni. E qui , scusate, ritorna sempre la mia domanda: in tutto questo cosa c'è di ..."interpretabile" ? Niente. Qui si tratta solo di ...riconoscere qualche cosa che è solo lì pronto per farsi ...riconoscere appunto.

La folla delle domade è inimmaginabile. Eccone a raffica alcune:
1) QUANTO piano e QUANTO forte (su questo allora si è basato il mondo ...effimero dell'"interpretazione". Ognuno, sempre che non arrivi l'eccesso, cioè il Pogorelich della situazione che per ...stupire, dove c'è scritto forte fa piano e viceversa: Ma qui...
Invece normalmente, dando per scontata una volontà ...sana di rapportarsi alla pagina scritta da parte dell'"interprete", è come una fiera del "sentiamo lui come la fa..[ in base a come lui la sente ] " contrapposta ad un'altra, che io peroro: "sentiamo se lui la fa ...come è ..."

2) Per 15 misure e mezza, come ci dobbiamo comportare? Tutte le note saranno dinamicamente ...uguali? Guai a chi ne farà una differente da un'altra perché altrimenti non sta rispettando il testo?

3) La dinamica non ha anche un legame imprescindibile con l'altezza?

4) L'autore quando ha scritto piano all'inizio ha inteso appunto tutto piano alla stessa maniera o ha definito ...un ambito ?

Troppi problemi ... mi farei ? ...o sono problemi reali ?

Con grande affetto e rispetto per il diritto a vivere la musica da parte di tutti noi con libertà e onestà, possibilmente senza lati oscuri o nebbie, cercando con l'aiuto vicendevole di domande e risposte, di fare chiarezza.

Intensità e tensione (continuazione)

Il guaio è che lo sviluppo tensivo è indipendente dallo strumento, nel senso che lo strumento non intacca la tensione interna del fenomeno, serve solo ad esplicitarla.

Questo è il cosiddetto diagramma intensità/tensione.

Intanto differenza fra intensità e tensione.

La tensione è la forza interna, intrinseca al fenomeno, l'intensità è quella esterna.

Nel confronto fra l'accordo ( fenomeno ) do-mi-sol-do (1) e l'accordo do-re-sol#-si (2), indubbiamente il secondo è intrinsecamente più teso del primo.

Ora che io suoni fortissimo o pianissimo sia l'uno che l'altro, gli accordi non cambiano, la loro tensione intrinseca nessuno gliela può togliere: quella è e quella resta.
Quello che cambia è la possibilità di esplicitare la tensione interna del fenomeno.

Ora se suono 1 piano e 2 forte, avrò fatto un abbinamento naturale, secondo la tendenza naturale e cioè:
poca tensione (pT) - poca intensità (pI), molta tensione(MT)- molta intensità (MI).

le variabili sono 4.
pT-pI
MT-MI
pT-MI
MT-pI

Questo offre l'opportunità di lavorare ad un livello sottile, ecco il musicista che se ne fa ...interprete? Non è meglio dire esecutore? Io , ormai si è capito che propendo per la seconda. Cosa c'è di interpretabile in quanto ho appena scritto? Si tratta solo di ... riconoscere.
Ecco, per fare un esempio concreto: Pogorelich riconosce e fa il contrario per stupire?, o penso, spesso, non riconosce affatto e pensa di poter fare come crede?

Il discorso diventa straordinario, ed ecco sempre l'opportunità concessa al musicista, quando il livello sottile di contrasto (che crea tensione generale del fenomeno e il brano come successione di contrasti) avviene fra tendenza naturale e contrasto alla tendenza naturale.

Eseguire piano la poca tensione e forte la molta tensione, va da sé(diciamo così)
Ma(ecco l'importanza della dinamica), io posso (io compositore e conseguentemente io esecutore che lo ...riconosco) giocare con queste variabili e scrivere fortissimo un accordo poco teso e pianissimo un accordo molto teso. Questo crea un contrasto con la tendenza naturale e allora, ...aumenta la tensione generale del fenomeno.

Se io dico gridando: ADESSO BASTA!
Questo va con la tendenza naturale: espressione molto tesa, dinamica ...fortissimo.

Ma se io dico lentamente, quasi scandendo le sillabe e sottovoce : a-des-so ...ba-sta

In realtà questo aumenta ENORMEMENTE la tensione generale del fenomeno e sei sicuro che l'atto successivo è che ...passiamo alle mani.

... continua

Subito un esempio concreto.
Concerto brandeburghese n° 5. Diciamo che è un concerto per flauto violino clavicembalo e orchestra. Dalla misura 154 alla misura 218 si scatena un vero e proprio concerto nel concerto.
Il clavicembalo resta solo e per 65 misure è il padrone assoluto dello spazio sonoro.

Fra la misura 166 e la 167 c'è una imitazione che la mancanza di escursione dinamica rende difficile da percepire, fra le misure 173 e 174 c'è una imitazione di crome che ha lo stesso problema, dalla misura 203 inizia un lungo pedale sulla nota al basso "la"; la dinamica di quei la, puntuali, imperterritamente presentanti se stessi sul primo e sul terzo quarto è inesorabilmente sempre la stessa, l'escamotage usato dai cembalisti è quello di intervenire ritmicamente,esitando o tirando, ma dinamicamente non possono intervenire per chiarire la funzione tensiva di ognuno di essi.
E' solo un esempio, ovviamente fra i mille possibili in presenza di questo strumento ... da solo.

Ora non vorrei risultare blasfemo per aver osato toccare il monumento Bach... ma siamo tutti chiamati ad un grande sforzo per stabilire relazioni fra parti, quando timbricamente tutto è appiattito in un imperterrito ed inesorabile risultato sonoro ... omogeneizzante.

Però provo a fare un ragionamento .. semplice semplice.
Dalla corda pizzicata da becchi d'oca (sistema dei salterelli) senza possibilità di intervento dinamico, il buon Cristofori ( costruttore, bada bene, di clavicembali ) che fa? inventa il sistema dei martelletti che percuotono la corda e chiama lo strumento, ma guarda un po', piano-forte. Insomma la dinamica ...urgeva alle porte.
Tutto però non si può avere e anche nel pianoforte permane un problema: la durata del suono.
Rispetto a fiati e archi che possono mantenere dinamica e durata senza alterare la caratteristica del suono, nel pianoforte il suono una volta prodotto non è più controllabile e poca cosa risulta l'intervento ... artificioso dei pedali: il suono appena prodotto ha un carattere percussivo, poi, grazie al pedale (intervenuto più tardi nel pianoforte) permane, ma modificando la sua caratteristica dato che sulla dinamica del suono non è più possibile, una volta percossa la corda, intervenire.
Certo, possiamo dire che sono due cose diverse (il clavicembalo e il pianoforte), ma quello che mi interessa è la ...istintiva necessità dell'uomo di dotarsi di strumenti con caratteristiche tecniche che consentano di passare dal suono alla musica; ora, privare il suono della dinamica necessitava di un tentativo di evoluzione e probabilmente questo ha spinto l'umano ad evolvere gli strumenti in questa direzione, nessuno escluso, quindi anche il clavicembalo.

Si fa musica con organo e clavicembalo?

(intervento del M° Napoli su forum - 2005)
L'unico mezzo che abbiamo a disposizione per esplicitare la tensione interna ad un fenomeno musicale, cioè quella generata dai contrasti fra i componenti, è la dinamica.

Se questo ci risulta chiaro, diventa difficile pensare quanta musica sia possibile eseguire sull'organo e sul clavicembalo.

Nell'organo la cosiddetta espressione si ottiene con la apertura e chiusura di veri e propri sportelli che lasciano venir fuori o attenuano il suono prodotto dall'aria passando attraverso le canne.
Il problema sta tutto qui.
Sulla produzione del suono lo strumentista non ha alcuna possibilità di intervento. L'aria emessa è quella e basta e il tutto avviene indipendentemente dal controllo dell'organista, in modo meccanico c'è una pompa, un tempo ... umana con mantici mossi a mano, oggi elettrica, che immette aria nelle canne senza controllo sulla quantità di emissione (per analogia, uno strumentista a fiato si gioca la dinamica in base alla pressione... di fiato che esercita immettendola nello strumento; questo sull'organo non avviene, la pressione è costante...).
Certamante gli sforzi degli organisti sono tutti tesi ad avvalersi di altri mezzi (la ricchezza e la varietà delle registrazioni, il gioco multiforme delle articolazioni ottenuto differenziando gli staccati e i legati), ma purtroppo la dinamica è praticamente impossibile da controllare.

Per il clavicembalo il discorso è un po' diverso. Ma attiene comunque alla produzione del suono.
Un piccolo dentino pizzica la corda e questo è tutto. Il tragico è che sfiorare o ..."pestare" un tasto per produrre il suono, non ha alcuna, se non minimissima influenza rispetto al suono che viene prodotto dallo strumento.
Probabilmente in piccoli ambienti qualche differenza il clavicembalista esperto riesce a metterla in campo, ma nelle sale da concerto odierne, le poche sfumature concesse sono praticamente impercepibili e allora gli sforzi si vanificano.

Ora la riflessione potrebbe essere che questi strumenti , date le loro caratteristiche costruttive, ci offrono una lettura ... inespressiva di un brano musicale, quasi un piccolo rompicapo rimesso alla capacità dell'ascoltatore di operare lui la strutturazione degli ordini di priorità. Insomma una sfida alle capacità di comprensione dell'ascoltatore.

In pratica in una fuga, ad esempio a quattro voci, visto che è impossibile da parte dell'esecutore avvalersi della dinamica per esplicitare l'ordine di priorità fra le voci e risultando quindi le parti ... complanari ed equivalenti da un punto di vista dinamico, la strutturazione, diciamo così, spetta all'ascoltatore...

martedì 1 marzo 2011

L'ascolto "vergine"

Una delle cose "difficili" da ottenere da chi oggi si appresta ad ascoltare un brano di musica "classica" di repertorio, è che questo ascolto sia puro, vergine, vale a dire non inquinato da confronti. Di per sè è quasi impossibile, si sa, ognuno conserva in memoria talvolta persino i particolari più insignificanti anche di diverse edizioni. Ricorda una trasmissione, dove un padre e un figlio scommettevano di riuscire a riconoscere una versione di un certo brano tra oltre 50 (se non di più). E mi pare che riuscirono nell'impresa. Questo della memoria è un dato del tutto superfluo. Quando si inizia l'ascolto di un brano, "tac", scatta subito il meccanismo e si comincia a notare che la "velocità" (ehehe) è più... che quel particolare di qui o di là si sente o non si sente, che quegli strumenti qui son più brillanti... per poi finire ovviamente in tutte quelle pastoie legate al "suono" dell'incisione... già; non bastava il problema del suono strumentale da far diventare musica, ci voleva pure il suono "hi-fi", che poi è una montagna di problematiche elettroniche, che con la musica nulla possono avere a che fare, anzi che proprio collidono con essa. Ma parliamo pure anche del concerto in sala. Così come un vero esecutore dovrebbe riuscire a scrollarsi di dosso ogni e qualsiasi altra esecuzione ascoltata o partecipata, e affrontare ogni nuova esecuzione (o ciclo di esecuzioni) con lo stesso fanciullesco candore, così anche l'ascoltatore dovrebbe ripartire ogni volta da zero. E' senz'altro difficile, ma è un'esperienza fondamentale, per chi voglia tornare a dialogare con la musica allo stesso livello, che è un livello, per l'appunto, fanciullesco, cioè, forse meglio, come se fossimo ancora all'alba dell'umanità. Chi dice di non capire la musica, è come uno che guarda un tabulato di codice macchina binario di un computer e non si capacita che magari quella è una lettera scritta poc'anzi! Certo, la complicazione e le sovrastrutture che l'umanità ha creato in milioni di anni, ci rendono sordi agli stimoli della nostra coscienza; dunque il primo, già difficilissimo passo, è quello di rendersi umili e semplici di fronte a lei; se partiamo già a "giudicare", ci siamo già tagliati la strada. Con questo, i confronti possono essere utili e importanti, a livello di studio, PER CHI STUDIA!.

lunedì 24 gennaio 2011

Battere il tempo

Ciò a cui deve tendere il direttore non è alla realizzazione della "sua" visione, ma a come il brano "è" non a come lui pensa che sia, e come è per tutti e con il concorso di tutti.
In altri termini riportare nella giusta dimensione l'esistenza di due termini che agiscono nel far musica: suono e coscienza umana.
La seconda è sempre disattesa, elusa, spesso vituperata, o semplicemnte ...sconosciuta o ritenuta non partecipe e si parla sempre e soltanto, inesorabilmente di suono.
l'argomento della direzione d'orchestra mi pare che esiga ineluttabili quanto impellenti chiarimenti.

La battaglie, le schermaglie, le guerre infiammate sulla direzione d'orchestra derivano dalla messa a confronto fra due concezioni:
da un lato quella corrente, definiamola per comodità "interpretativa"
dall'altro quella molto meno frequente che definirei "esecutivo/riconoscitiva".

La domanda/sintesi potrebbe essere: cosa c'è di "interpretabile", ad esempio, in un intervallo di quinta (e se consideriamo che un brano di musica alla fine altro non è se non un confronto fra suoni nella orizzontalità - melodia - e nella verticalità - armonia -) la domanda non risulta come molti sono portati a pensare, peregrina o addirittura "improponibile".

Qui si scatenano da un lato gli storici, i filosofi, gli ermeneuti, insomma quelli ritenuti, a torto secondo me, quelli che della musica "parlano", dall'altra, sentendo minato il loro terreno ..."interpretativo"( spesso, purtroppo invece, molto più prosaicamente, "arbitrario") alzano la voce coloro che la musica la..."farebbero".

Al di là del fastidio che alcuni benpensanti possono provare, io credo invece che anche soltanto come spettatori, sia utile a tutti leggere quali siano le argomentazioni portate avanti, se pure in modo che può risultare sgradevole, dagli uni e dagli altri, perché questo aiuta a fare chiarezza in un campo che della "oscurità" fa la sua" forza? (debolezza?).

Insomma c'è chi da una situazione di indefinitezza, di vaghezza, di fumosità, trae beneficio, e segnalo che sto parlando di DIREZIONE D'ORCHESTRA e che le mie presenti considerazioni sono assolutamente in tema con l'argomento posto.

Se dico: "direzione d'orchestra, questa sconosciuta", è perché frequenti e poco edificanti diatribe, questo hanno messo bene in luce.
La direzione d'orchestra essendo una Cenerentola del fare musicale lascia ampio spazio ad ogni genere di "incursioni" che traggono origine dalle più disparate provenienze.

Qui sta anche l'accalorarsi progressivo dei modi che riesce ad arrivare all'incandescenza, ma questo sì è un déjà vu di vecchissima data che in un certo senso mi riempie di orgoglio perché noto che l'ostracismo, a ben altri livelli di quanto possa suscitare il mio porre da testimone e depositario di una concezione "celibidachiana" del fare musica attraverso la direzione d'orchestra, al quale è stato sottoposto Celibidache, si perpetra.

E non dipende, nel caso di Celibidache che poi, mutatis mutandis diventa anche in qualche modo il mio, dal carattere o dal modo di porsi.

La cosa ha basi più profonde: vengono minate le ragioni fumose di una certa concezione della direzione d'orchestra e questo da parte di moltissimi è imperdonabile e allora dagli all'untore.

E' bene precisare che nel dire questo, anche se qualcuno potrà pensare: "excusatio non petita, accusatio manifesta", non c'è alcuna intenzione vittimistica.
Lungi da me, questo atteggiamento "ipocrita".
Diciamo che credo fermamente nella validità delle cose che affermo e sono disposto ad argomentare allo sfinimento per arrivare a fare chiarezza e non come pensa qualche maldestro psicologo dell'ultima ora, per affermare me stesso.
Se avessi voluto cercare "consenso" a tutti i costi, avrei optato per una strategia più da "captatio benevolentiae", ma questa scelta sarebbe allora avvenuta fin dall'inizio non scegliendo Celibidache come maestro e buttandomi come la maggioranza alla ricera di "medagliette della comunione" da appuntare sul petto, spacciando qualche corsino corrente dell'ultima ora e con nomi più o meno "contingentemente" quanto prealtro transeuntemente accreditati per "competenza" o curriculum.

E' il famoso "ha studiato con..." che poi si rivela, facendo la somma reale di tempo ed esiti verificabili dal loro prodursi, qualche ...ora passta nello stesso luogo dell'accreditante Maestro.

Questo non toglie che la compassione reciproca non ci porti a dover pensare "ciascuno fa quello che può".
Ma certamente. Sappiamo però che il dubbio non è una pratica e una persistenza nella sostanza, ma un metodo. Allora chi per farsi bello dice quasi in tono sprezzante e provocatorio rispetto a chi come me afferma con una certa fermezza le cose che dice, "io uso il dubbio", è auspicabile che intenda il "dubbio" come metodo, insomma che si avvalga del dubitare e non di rimanere sempre fermo agli stessi dubbi, è opportuno che i primi dubbi si trasformino in certezze e che se mai, nascano nuovi dubbi.

Battere il tempo viene sottolineato che serve per :fare andare insieme l'orchestra, farne cogliere agli altri la maggiore "sicurezza", per "sincronia con battere e levare", ma che in fondo, a fronte di altri tipi di scrittura, può avvalersi di altri "ausili" collaterali quali , ad esempio, un cronometro.

preciso che quanto sto per dire non deve essere letto come dettato da motivazioni di tipo narcisistico o da "saccente".

Io sposto l'accento sul fatto che gli elementi in gioco nel far musica sono due: il suono e la coscienza umana.

Il secondo è l'aspetto sempre eluso, disatteso, non tenuto presente.

Ritmo, armonia, metro, melodia, dinamica, agogica, altro non sono se non PROIEZIONI di come funziona la coscienza che se trova un materiale col quale è possibile, per diretta corrispondenza, instaurare un rapporto ed avvalersene per esplicitare se stessa, allora con quello lavora.

Battere il tempo non è una necessità "strutturale" derivante dal brano, ma dalla modalità di appropriazione che l'umano mette inesorabilmente in azione quando si trova al cospetto della molteplicità.

E' perché non posso fare altrimenti, perché la mia coscienza funziona così, che ho bisogno che un fenomeno esterno a me sia ARTICOLATO per potermene appropriare.

Allora, battere il tempo, non è ripeto, una necessità dettata dal materiale.
Il materiale di suo, offre solo una "disponibilità" ad essere utilizzato dalla coscienza perché questa vi trova una corrispondenza con le sue caratteristiche.

L'articolazione

[M° Raffaele Napoli su forum 2006]
1) La musica è necessariamente un movimento tra tensione e distensione ?
2) Può essere una musica contemplativo-meditativa ?
3) l'uomo è in continua tensione verso qualche cosa o nella sua coscienza è presente anche la necessità di quiete e stasi ?

Se volessi fare il furbo (nel senso di spingerti all'esasperazione come faceva Celi con stimoli inesorabili) potrei rispondere: "ah ..., io non so cos'è ciò che tu definisci "musica", musica è un processo, un divenire e quindi volerne fissare le caratteristiche con una definizione le toglierebbe libertà e possibilità di essere vissuta come un divenire dalla coscienza umana".

E tu te ne staresti lì a pensare, a scervellarti, tentando con una domanda diversa di aggirare l'ostacolo di esigere una "definizione", e tentando invece per gradi di definire, almeno, ciò che non è.
E questo è in realtà ciò che Celi ha operato con noi. Spingerci a definire tutto ciò che "non è" musica per mettere la nostra coscienza in uno stato di purezza, libera da aspettative e pronta in modo... primigenio a vivere il processo dopo aver liberato il campo da lacci e lacciuoli.

Quello che posso tentare di fare per non rovinare (anche) in chi legge questo ... divenire (apprendistato) è dare qualche stimolo, qualche suggerimento, semplicemente perché ci sono già passato e ho verificato che da un certo momento in poi ero in grado di anticipare le risposte che poi avrebbe dato Celi (e quando questo succedeva in una percentuale prossima al 100%, si capiva che era arrivato il momento di ...tagliare il cordone ombelicale, cosa che puntualmente, attraverso un litigio/pretesto, operava Celi, quasi autorizzandoti ad "uccidere il Buddah" e a lasciar pienamente venir fuori il maestro che è in te).

Allora: tensione/distensione. E' l'essenza di qualunque articolazione e la nostra coscienza si appropria di ciò che è esterno a lei solo a condizione che i fenomeni che le si presentano siano articolati. Diciamo meglio che l'uomo, nei suoi manufatti e nelle sue creazioni, non fa altro che esplicitare ... articolazioni. E' un continuo impatto/risoluzione in forme anche differenziate, ma sempre di questo si tratta.
Cos'è l'architettura se non ...articolazione?
E così la toponomastica, le planimetrie, il linguaggio, un film, un romanzo, una partita di scacchi, una partita di pallone, la scrittura, il pensiero, le età dell'uomo, la storia, le religioni, la..., le..., i..., etc, etc, etc........

Io faccio sempre un piccolo esempio:
335236550
tre tre cinque due tre sei cinque cinque zero

sì ma... quant'è ?
già così andiamo meglio:
trecentotrentacinquemilioniduecentotrentaseimilacinquecentocinquanta.
Un po' faticosi da leggere, però
Ma se li articolo, già diventano più percepibili:
335.236.550
trecentotrentacinquemilioni duecentotrentaseimila cinquecentocinquanta

se poi lo dico tre-tre-cinque / due -tre / sei - cinque / cinque - zero
diventa pure chiaro che non è l'incremento della popolazione cinese negli ultimi cinque anni, ma semplicemente un numero di cellulare.
Siamo fatti così: tensione e distensione, essenza dell'articolazione

2) contemplativo/meditativa: cosa si intende? Che se la risposta arriviamo a dire che è: "sì, può esistere", questo ci autorizzerebbe allora, a dire che un clavicembalo o un organo, pur essendo impossibilitati a esplicitare il parametro "dinamica", per questa eventuale categoria di musica andrebbero bene ? (... così facciamo pure contenti i pianisti che si avvicinano a Bach "secondo la supervisione tecnico/...aulica del maestro Ciccolini" )
Ammettendo di voler azzardare una definizione di musica che poi la si debba pure sottotitolare "contemplativo/meditativa", francamente lo trovo ...non lo dico va.

3) tensione - quiete - stasi

Come ai potrebbero mai definire le parole "quiete e stasi" se non confrontandole con ... tensione?
I due processi sono uno l'integrazione dell'altro. L'unità e l'equilibrio per l'umano, che non è "divino" (il famoso "motore immobile"), l'alternanza ( ... l'articolazione?) fra tensione e distensione rappresentano l'uno.

L'uomo vive di un impulso fondamentale: quello che in tedesco si definisce "drang nach freiheit", spinta, impulso, tensione verso la libertà.
Perché il direttore batte il tempo? Perché il compositore compone la seconda battuta e poi la terza e così di seguito? perché il violinista va verso la punta ?

Allora la necessità di quiete e stasi, sì che sono presenti, ma solo in quanto è anche presente la tensione verso la libertà.