lunedì 22 luglio 2013

Un "tom-tom" per la coscienza

Quando si indica la coscienza come ultimo e indiscutibile traguardo della disciplina che può far assurgere ad arte il lavoro di un musicista che tale voglia definirsi, è facile trovarsi di fronte ad alzate di spalle, minimizzazioni, frasi di circostanza se non addirittura battute di scherno ("ah, e dove sta, di preciso?"); questo sempre in nome di un topos dilagante, e cioè che l'individuo artista, musicista nel nostro caso, si appropria dell'opera e la restituisce secondo una propria visione (interpretazione) tanto più importante o interessante quanto più l'interprete è talentuoso, virtuoso, stusioso, e via via "oso" elencando. Allora viene da chiedere: perché un dato personaggio è definito un grande inteprete? Molti di essi, morti o viventi, sono oggi, soprattutto in virtù di tracce registrate, consegnati a un capitolo esistenziale definito "Storia" - ovvero memoria - analogamente - e talvolta più - di molti compositori. Diversi di essi sono legati con doppio giro a specifici autori cui offrono un riferimento o confronto: Toscanini e Muti a Verdi, Del Monaco all'Otello, Karajan a Beethoven, Boulez a Stravinsky, Bohm e Walter a Mozart, Furtwaengler a Wagner, e così via. In virtù di cosa sono emersi questi legami, che si sono anche consolidati fino a riversarsi nel mito, nella leggenda? Spesso, parlando di essi, e trovando da ridire, si viene aspramente criticati per il fatto ("da quale pulpito?") di mettere in discussione veri mostri sacri, osannati da milioni di persone, senza essere noi allo stesso livello di celebrità, e nemmeno vicini! Ma neanche qualcuno che invece la celebrità l'aveva conquistata con la propria competenza e l'innegabile talento, Sergiu Celibidache, poteva permettersi di fare le pulci ai colleghi pena l'aspra condanna di giornalisti e appassionati (diciamo anche "fan") di questo o quel direttore. In sostanza si tratta di genuflettersi all'opinione di una massa che stabilisce che "quello" o "quell'altro" sono i "veri", "grandi" musicisti, mentre altri lo sono meno, "quello è bravo a fare quell'autore ma non quell'altro" e via narrando. Ricordo il dispiacere di molti appassionati di canto che ritenevano tradita la verità quando Pavarotti, Domingo e Carreras venivano additati come i tre più grandi tenori del mondo, escludendo quello che forse era realmente il migliore in un determinato periodo, cioè Alfredo Kraus. Analoga amarezza per il megafunerale di Pavarotti e il quasi silenzio di fronte alla morte di alcuni dei più grandi cantanti italiani nel mondo per decenni: Corelli, Di Stefano, Siepi, Tebaldi, ecc. (ma... e "a livella"?). Esiste il talento e la forte personalità? Esiste l'innata e prorompente musicalità? insomma la predisposizione a manifestarsi in un'arte? Indubbiamente. E indubbiamente tutti coloro che abbiamo sin qui citato e molti altri ancora lo sono o lo sono stati. E' questo titolo di merito per potersi e poterli definire 'musicisti', e più ancora musicisti storici? No, non lo è; quello è l'inizio del cammino, è il punto zero. Ma può essere anche un imbroglio! La talentuosità, la capacità innata e "facile" di padroneggiare il "gesto", come saper disegnare, imparare rapidamente a suonare, a scrivere, a intonare una melodia con bella voce, attraggono immediatamente tutti coloro che tale dono non hanno (o non sanno di avere). A ciò si può aggiungere una personalità particolarmente carica, estroversa, una valida dialettica, una capacità di "vendersi", di apparire, di gestire la propria immagine. Enormi talenti sono "caduti" per non aver saputo gestirsi, così come modesti suonatori si sono guadagnati un posto in proscenio in virtù da doti "scenografiche", polemiche, dialettiche e quant'altro. Alla base di tutto c'è sempre e solo una cosa: riconoscere. Riconoscere il fumo dall'arrosto, riconoscere il grande talento dal volonteroso dilettante, riconoscere il destro imbroglione dal valido maestro della propria disciplina. Chi ha la fortuna di possedere valide doti nell'arte che sente la forza di intraprendere, può scegliere se svenderle al primo offerente, in cambio sicuramente di argomenti non da poco: denari, pubblicità, celebrità, vita mondana, oppure se intraprendere un percorso verso la conquista di una coscienza autenticamente artistica, cioè verso il sublime, il vero. Non significa necessariamente rinunciare agli allori, ma significa rinunciare a quel tipo di successo in quanto obiettivo, finalità. La finalità è nell'arte stessa, cioè in quella libertà nel vero, che non si deve confondere, come purtroppo molti credono, nella libertà di fare ciò che si "ritiene", ma nel fare ciò che si deve, cioè cio che è. Ci vuole un tom-tom; sì, una bussola che guidi alla rivelazione, all'assunzione della coscienza allo stato vigile; una potente mappa ce l'ha fornita Sergiu Celibidache, e l'ha chiamata Fenomenologia musicale. Può valere la pena discutere se ci sia di meglio o comunque altro; sappiamo come per raggiungere una certa località ci possano essere più soluzioni, ma la questione è che tale percorso deve essere valutato, studiato, proposto, esperito e verificato, dopodiché si potrà fare un confronto e decidere quale sia il più efficace. Il problema, grosso, è che nessun altro per ora ci si è messo e ci ha provato. Dunque questi criteri che ci guidano alla conquista della libertà, si potranno discutere, ma se non si prova a seguirli non li si dovrebbe rifiutare a priori, perché tale atteggiamento non può che definirsi pregiudizio, mancanza di volontà, sciatteria, superficialità, e in nome certo di virtù poco onorevoli. Il tom tom c'è... agli uomini (di musica) di buona volontà il volerlo utilizzare o vagare senza meta, illudendosi e illudendo di fare qualcosa di importante.

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