sabato 30 luglio 2011

Universalità della musica

Tutte le volte che parlano i "grandi" della musica, ricorre sempre questo ritornello: "la musica è un linguaggio universale che parla a tutti i popoli". A parte che la musica non si può definire un linguaggio, tutt'al più ne utilizza alcune proprietà per motivi di comunicazione pratica, c'è poi da chiedersi in cosa consisterebbe la sua universalità se, appena si fa cenno alla questione delle reazioni della coscienza dell'uomo a determinati stimoli sonori, subito molti si inalberano affermando che la tonalità e gli intervalli ad essa relativi sono un' "abitudine" degli occidentali, ma le tribù, gli orientali, gli arabi, ecc., non hanno intrapreso la stessa strada, dunque dire che ogni popolo reagisce uniformemente alla proposta di una quinta ascendente o discendente, secondo loro è una sciocchezza. Intanto, forse, dovrebbero provare a prendere un po' di persone di etnie diverse e provare a sottoporli a un test, prima di affermare se è o non è vero. Ma passiamo oltre. Da qualche mese su alcune TV circola una serie molto interessante: "Lie to me", dove un dottore si è ultraspecializzato nel riconoscimento dei segni del corpo, grazie ai quale riesce sempre a capire quando una persona mente, o addirittura a ottenere risposte senza l'uso della parola. E, si dice in diversi momenti, per specializzarsi è addirittura rimasto molto tempo a contatto con tribù e popolazioni lontane dalle civiltà "evolute". Cioè ha colto segnali universali dell'uomo, ovvero della sua coscienza, che affiorano ai sensi ed è possibile 'riconoscerli' (altro termine chiave). C'è da chiedere a questi "soloni" della musica in cosa consisterebbe l'universalità della musica, se diamo per buono che ogni popolo usa un linguaggio diverso. Allora la musica, se questo fosse vero, non rispecchierebbe che la "babele" dei linguaggi verbali, un linguaggio "occidentale", un linguaggio "orientale", un linguaggio "arabo", e così via. Cosa ci sarebbe di così straordinario e accomunante? La verità naturalmente è tutta opposta, cioè a fronte di linguaggi anche improntati a diversità, per cultura, stile di vita, mezzi a disposizione, esiste sempre in profondità una sensibilità comune a determinati stimoli. L'intervallo non è interpretabile, non è legato a stili di vita o cultura, ma è qualcosa che appartiene al fisico (struttura dell'orecchio) e alla coscienza umana, nonché a fenomeni fisici, quali gli armonici, che non appartengono a caratteri locali o culturali, ma universali, unidirezionali.

1 commento:

  1. La riflessione è assolutamente pertinente e lancia alcuni stimoli interessanti che dovrebbero essere oggetto di approfondimento per molti, specilamente per coloro che sono sempre pronti ad affermare qualunque cosa pur di non accettare proposte che vengano da altri ( ad esempio come ha sempre reagito il mondo dello star system alle provocazioni di Celibidache), sembra quasi una caratteristica dell'umano quella di opporsi quasi per partito preso, in realtà è la modalità tipica di chi ha un EGO sfrenato, spesso purtroppo questa modalità è quella che ha impedito a molti di crescere, imparare, avvalersi delle sollecitazioni straordinarie che Celibidache ha lanciato alla coscienza universale, quella che, scarnificata dalle soggettività, alberga in ciascuno di noi e che rende possibile la comunicazione fra gli esseri umani.

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