domenica 30 maggio 2010

L'inganno dell'interpretazione

Una frase che ricorre spesso nelle interviste e negli interventi didattici di Celibidache, o del M° Napoli, è: cosa c'è di interpretabile in musica? Chi non ha le necessarie basi fenomenologiche, dirà che ci sono diversi parametri, nell'esecuzione di un brano, che, non potendo essere misurabili strumentalmente, devono giocoforza essere interpretati. Ci riferiamo ad es. alla dinamica. Quanto piano può essere un "piano", quanto un "pianissimo", ecc.? Oppure al tempo: qual è il tempo di un allegro, o di un andante...? Insomma, tranne le note, quasi tutto il resto non può avere un carattere univoco. E' vero, però, che più passa il tempo, più i compositori hanno infarcito le partiture di segni, anche alla ricerca, per l'appunto, di un carattere meno gestibile dagli esecutori. Igor Stravinsky ebbe a dire che solo le sue esecuzioni erano come lui le aveva concepite. Lui, come tantissimi altri, non aveva capito qualcosa di fondamentale, di essenziale. Non può (e meno male!) esistere l'esecuzione modello o campione. Non può esistere quel tempo di esecuzione valido per ogni ripresa; ecco perché è totalmente assurdo apporre l'indicazione metronometrica accanto all'indicazione del tempo. Sul tempo torneremo. Qualcuno ci chiederà, quindi, come si può fare a stabilire quanto vale un piano o un forte, in assenza di parametri misurabili, come si fa con una radio o un impianto hi-fi. Intanto una normale osservazione. Se io parlo con una persona a 50 cm da me userò un certo volume; se la persona è a un metro, ne userò un altro, se parlo in un enorme salone, un altro ancora, e così via. E' evidente che tutti i parametri dinamici andranno in primo luogo rapportati alle caratteristiche del luogo in cui si fa musica. Questo però ancora non spiega in che misura si rapporteranno i vari piani e forti... Come si è già cercato di dire, un brano è un percorso; la partitura una sorta di "mappa" dove l'esecutore dovrà cercare di orientarsi, individuando montagne, valli, colline, pianure... Qualcuno può pensare sia facile, che tutto sia già evidente e chiaro, ma... non è così. Non lo è per niente, tant'è vero che, quando ci si sia creata una coscienza musicale, si percepisce facilmente in tantissime esecuzioni, la difficoltà o addirittura la totale mancanza di un qualunque percorso. Anche in presenza di orchestre o strumenti meravigliosi, di esecutori celeberrimi, spesso si ascoltano solo note. Apparenza di inappuntabile bontà esecutiva; intonazione perfetta, rispetto delle legature e di altri segni. Tutto pulito e terso. Eppure... cosa manca? Manca l'unitarietà. E l'unitarietà si può raggiungere solo quando il percorso svolto è univoco (non nel senso "fotografico", ma sempre in senso relativo al luogo e al momento) e dunque quando i parametri messi in campo sono tutti in relazione tra di loro.

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