lunedì 24 gennaio 2011

Battere il tempo

Ciò a cui deve tendere il direttore non è alla realizzazione della "sua" visione, ma a come il brano "è" non a come lui pensa che sia, e come è per tutti e con il concorso di tutti.
In altri termini riportare nella giusta dimensione l'esistenza di due termini che agiscono nel far musica: suono e coscienza umana.
La seconda è sempre disattesa, elusa, spesso vituperata, o semplicemnte ...sconosciuta o ritenuta non partecipe e si parla sempre e soltanto, inesorabilmente di suono.
l'argomento della direzione d'orchestra mi pare che esiga ineluttabili quanto impellenti chiarimenti.

La battaglie, le schermaglie, le guerre infiammate sulla direzione d'orchestra derivano dalla messa a confronto fra due concezioni:
da un lato quella corrente, definiamola per comodità "interpretativa"
dall'altro quella molto meno frequente che definirei "esecutivo/riconoscitiva".

La domanda/sintesi potrebbe essere: cosa c'è di "interpretabile", ad esempio, in un intervallo di quinta (e se consideriamo che un brano di musica alla fine altro non è se non un confronto fra suoni nella orizzontalità - melodia - e nella verticalità - armonia -) la domanda non risulta come molti sono portati a pensare, peregrina o addirittura "improponibile".

Qui si scatenano da un lato gli storici, i filosofi, gli ermeneuti, insomma quelli ritenuti, a torto secondo me, quelli che della musica "parlano", dall'altra, sentendo minato il loro terreno ..."interpretativo"( spesso, purtroppo invece, molto più prosaicamente, "arbitrario") alzano la voce coloro che la musica la..."farebbero".

Al di là del fastidio che alcuni benpensanti possono provare, io credo invece che anche soltanto come spettatori, sia utile a tutti leggere quali siano le argomentazioni portate avanti, se pure in modo che può risultare sgradevole, dagli uni e dagli altri, perché questo aiuta a fare chiarezza in un campo che della "oscurità" fa la sua" forza? (debolezza?).

Insomma c'è chi da una situazione di indefinitezza, di vaghezza, di fumosità, trae beneficio, e segnalo che sto parlando di DIREZIONE D'ORCHESTRA e che le mie presenti considerazioni sono assolutamente in tema con l'argomento posto.

Se dico: "direzione d'orchestra, questa sconosciuta", è perché frequenti e poco edificanti diatribe, questo hanno messo bene in luce.
La direzione d'orchestra essendo una Cenerentola del fare musicale lascia ampio spazio ad ogni genere di "incursioni" che traggono origine dalle più disparate provenienze.

Qui sta anche l'accalorarsi progressivo dei modi che riesce ad arrivare all'incandescenza, ma questo sì è un déjà vu di vecchissima data che in un certo senso mi riempie di orgoglio perché noto che l'ostracismo, a ben altri livelli di quanto possa suscitare il mio porre da testimone e depositario di una concezione "celibidachiana" del fare musica attraverso la direzione d'orchestra, al quale è stato sottoposto Celibidache, si perpetra.

E non dipende, nel caso di Celibidache che poi, mutatis mutandis diventa anche in qualche modo il mio, dal carattere o dal modo di porsi.

La cosa ha basi più profonde: vengono minate le ragioni fumose di una certa concezione della direzione d'orchestra e questo da parte di moltissimi è imperdonabile e allora dagli all'untore.

E' bene precisare che nel dire questo, anche se qualcuno potrà pensare: "excusatio non petita, accusatio manifesta", non c'è alcuna intenzione vittimistica.
Lungi da me, questo atteggiamento "ipocrita".
Diciamo che credo fermamente nella validità delle cose che affermo e sono disposto ad argomentare allo sfinimento per arrivare a fare chiarezza e non come pensa qualche maldestro psicologo dell'ultima ora, per affermare me stesso.
Se avessi voluto cercare "consenso" a tutti i costi, avrei optato per una strategia più da "captatio benevolentiae", ma questa scelta sarebbe allora avvenuta fin dall'inizio non scegliendo Celibidache come maestro e buttandomi come la maggioranza alla ricera di "medagliette della comunione" da appuntare sul petto, spacciando qualche corsino corrente dell'ultima ora e con nomi più o meno "contingentemente" quanto prealtro transeuntemente accreditati per "competenza" o curriculum.

E' il famoso "ha studiato con..." che poi si rivela, facendo la somma reale di tempo ed esiti verificabili dal loro prodursi, qualche ...ora passta nello stesso luogo dell'accreditante Maestro.

Questo non toglie che la compassione reciproca non ci porti a dover pensare "ciascuno fa quello che può".
Ma certamente. Sappiamo però che il dubbio non è una pratica e una persistenza nella sostanza, ma un metodo. Allora chi per farsi bello dice quasi in tono sprezzante e provocatorio rispetto a chi come me afferma con una certa fermezza le cose che dice, "io uso il dubbio", è auspicabile che intenda il "dubbio" come metodo, insomma che si avvalga del dubitare e non di rimanere sempre fermo agli stessi dubbi, è opportuno che i primi dubbi si trasformino in certezze e che se mai, nascano nuovi dubbi.

Battere il tempo viene sottolineato che serve per :fare andare insieme l'orchestra, farne cogliere agli altri la maggiore "sicurezza", per "sincronia con battere e levare", ma che in fondo, a fronte di altri tipi di scrittura, può avvalersi di altri "ausili" collaterali quali , ad esempio, un cronometro.

preciso che quanto sto per dire non deve essere letto come dettato da motivazioni di tipo narcisistico o da "saccente".

Io sposto l'accento sul fatto che gli elementi in gioco nel far musica sono due: il suono e la coscienza umana.

Il secondo è l'aspetto sempre eluso, disatteso, non tenuto presente.

Ritmo, armonia, metro, melodia, dinamica, agogica, altro non sono se non PROIEZIONI di come funziona la coscienza che se trova un materiale col quale è possibile, per diretta corrispondenza, instaurare un rapporto ed avvalersene per esplicitare se stessa, allora con quello lavora.

Battere il tempo non è una necessità "strutturale" derivante dal brano, ma dalla modalità di appropriazione che l'umano mette inesorabilmente in azione quando si trova al cospetto della molteplicità.

E' perché non posso fare altrimenti, perché la mia coscienza funziona così, che ho bisogno che un fenomeno esterno a me sia ARTICOLATO per potermene appropriare.

Allora, battere il tempo, non è ripeto, una necessità dettata dal materiale.
Il materiale di suo, offre solo una "disponibilità" ad essere utilizzato dalla coscienza perché questa vi trova una corrispondenza con le sue caratteristiche.

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