martedì 1 marzo 2011

L'ascolto "vergine"

Una delle cose "difficili" da ottenere da chi oggi si appresta ad ascoltare un brano di musica "classica" di repertorio, è che questo ascolto sia puro, vergine, vale a dire non inquinato da confronti. Di per sè è quasi impossibile, si sa, ognuno conserva in memoria talvolta persino i particolari più insignificanti anche di diverse edizioni. Ricorda una trasmissione, dove un padre e un figlio scommettevano di riuscire a riconoscere una versione di un certo brano tra oltre 50 (se non di più). E mi pare che riuscirono nell'impresa. Questo della memoria è un dato del tutto superfluo. Quando si inizia l'ascolto di un brano, "tac", scatta subito il meccanismo e si comincia a notare che la "velocità" (ehehe) è più... che quel particolare di qui o di là si sente o non si sente, che quegli strumenti qui son più brillanti... per poi finire ovviamente in tutte quelle pastoie legate al "suono" dell'incisione... già; non bastava il problema del suono strumentale da far diventare musica, ci voleva pure il suono "hi-fi", che poi è una montagna di problematiche elettroniche, che con la musica nulla possono avere a che fare, anzi che proprio collidono con essa. Ma parliamo pure anche del concerto in sala. Così come un vero esecutore dovrebbe riuscire a scrollarsi di dosso ogni e qualsiasi altra esecuzione ascoltata o partecipata, e affrontare ogni nuova esecuzione (o ciclo di esecuzioni) con lo stesso fanciullesco candore, così anche l'ascoltatore dovrebbe ripartire ogni volta da zero. E' senz'altro difficile, ma è un'esperienza fondamentale, per chi voglia tornare a dialogare con la musica allo stesso livello, che è un livello, per l'appunto, fanciullesco, cioè, forse meglio, come se fossimo ancora all'alba dell'umanità. Chi dice di non capire la musica, è come uno che guarda un tabulato di codice macchina binario di un computer e non si capacita che magari quella è una lettera scritta poc'anzi! Certo, la complicazione e le sovrastrutture che l'umanità ha creato in milioni di anni, ci rendono sordi agli stimoli della nostra coscienza; dunque il primo, già difficilissimo passo, è quello di rendersi umili e semplici di fronte a lei; se partiamo già a "giudicare", ci siamo già tagliati la strada. Con questo, i confronti possono essere utili e importanti, a livello di studio, PER CHI STUDIA!.

2 commenti:

  1. Quindi un "utente" che assiste ad un concerto in sala deve togliersi dalla testa l'idea di "giudicare" - chi non è musicista di solito esercita questa sua presunta facoltà per lo più sulla base del confronto con altre esecuzioni, ascoltate sui dischi - in quanto pensare di dover esprimere un giudizio, lo escluderebbe subito da una condizione di ascolto "vergine", privo di condizionamenti e preconcetti, assoluto.

    Questo - suppongo - non esclude che l'ascoltatore, dopo aver ascoltato con la coscienza sgombra da preconcetti, possa - solo a quel punto - farsi una propria idea sulla bontà del concerto a cui ha assistito.

    Se fin qui ho detto giusto, vorrei porre una domanda.
    L'ascoltatore che col passare del tempo, impegnandosi e concentrandosi, abbia imparato ad "ascoltare" (cioè ad azzerare il proprio ego, lasciando la coscienza libera da preconcetti e sovrastrutture), sarà poi in grado - lui solo, senza necessariamente possedere una formazione musicale - di rendersi conto se chi sta sul palcoscenico stia solo "suonando", o se invece stia davvero facendo Musica?

    Altra domanda: pretendere questo, ai nostri tempi, non è un po' utopistico?

    Su un forum ho letto e ritagliato questa frase che tu Fabio hai scritto:

    "Forse mille anni fa si ascoltava veramente la musica. Cinquecento già un pochino meno, duecento meno ancora, e così via. Ascoltare "veramente" la musica implica un atteggiamento, una purezza di coscienza, che oggi non abbiamo e difficilmente possiamo avere. Siamo tutti immersi in un bagno di egocentrismo che "oscura" l'azzurro cielo della coscienza."

    Mi chiedo: è davvero possibile tornare ad ascoltare la musica come si faceva mille anni fa?



    Francesco

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  2. Ciao Francesco;
    come un tempo così lontano quasi sicuramente no, perché i bombardamenti sonori continui e le condizioni ambientali e sociali odierne sono tali che quel tipo di verginità è al limite dell'impossibile da ritrovare, però con una saggia disciplina si può ritrovare un piacere e una disponibilità all'ascolto sicuramente molto più corretta di quella comune. Sull'utopistico posso anche convenire, lo stesso Celibidache, che si era conquistato una posizione importante nel mondo musicale, passava spesso per un utopico e un visionario. Da qui però dobbiamo scegliere: se ci troviamo nella condizione di aver conquistato un certo modo di sentire, di fare la musica, siamo disponibili a tornare alla condizione precedente? Se sì, conviene farlo, perché vuol dire che l'impegno che ci vuole per raggiungere quello stato di coscienza e tutta la battaglia che ci si trova a combattere contro un mondo che non vuol sentir parlare di oggettività e verità, sarà impossibile da sostenere. Se non si è disponibili a tornare indietro... vuol dire che è la nostra interiorità che ce lo impedisce, contro cui poco si può fare.

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