venerdì 14 settembre 2012

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CELIBIDACHE e l'INTERPRETAZIONE/1. Penso a quali vette di esasperazione e di idiozia possa arrivare chi si nutre del concetto di "interpretazione" di una pagina di musica. Faccio alcune semplici considerazioni. La necessità prima di un "interprete" per rendere appetibile a potenziali fruitori la propria interpretazione è quella di trovarne una che sia "originale" altrimenti verrebbe meno la necessità di ascoltare quella da lui proposta. Mi immagino allora questa ansiogena ricerca di una lettura nuova, mai udita, di una pagina. Il primo lavoro, quindi, sarà quello "inventario". Visto che oggi i mezzi di riproduzione meccanica lo consentono, si ascolteranno tutte le possibili "versioni" di un brano in modo da non ricalcarne nessuna quando poi si arriverà ad elaborare e proporre la propria. In tutto questo, è evidente, il testo e l'autore non hanno alcuna funzione se non quella di essere "pretesto", vittima sacrificale da immolare sull'altare del narcisismo del sedicente..."interprete".

CELIBIDACHE e l'INTERPRETAZIONE/2 - Dove sta il vizio di fondo? Nell'andare a cercare non quel che c'è di OGGETTIVO in un brano di musica, quel che permette la comunicazione fra la coscienza "umana" del compositore e le coscienze umane di tutti gli esseri umani, esecutori e fruitori, ma esasperare la SOGGETTIVITA'. Questo, portato alle estreme conseguenze, arriva a stigmatizzare l'incomunicabilità. Come potrò io capire che accade? Quanto più e sempre più l'interpretazione sarà, con questi criteri di fondo, "tua", tanto meno e sempre meno potrà essere "mia". Come puoi pretendere quindi, tu interprete, che io ti venga ad ascoltare sapendo che ciò che ti anima è il tuo esasperato narcisismo, l'ostentazione della tua bacata soggettività invece della ricerca della parte UNIVERSALE, quel che resta cioè, di valido per tutti e per ciò stesso comunicabile, una volta scarnificato dalle inevitabili caratteristiche soggettive che ci rendono, per una parte, unici?

CELIBIDACHE e l'INTERPRETAZIONE/3 - Cosa propone allora Celibidache? In cosa sta la sua grandezza? Sono per me inquietanti quelli che ritengono Celibidache un "grande", si però...fra altri grandi. Uhm. temo che dicano che è grande non perché ne capiscano i motivi di grandezza, ma perché lo annoverano fra i famosi, assurti ai fasti della notorietà e allora non avendo reali criteri di valutazione, in fondo pensano di non essere reprensibili se lo collocano e giudicano "grande". La grandezza di Celibidache non sta nelle sue "interpretazioni" bensì nella coerenza che ha dimostrato fra la sua poetica e avendo avuto il coraggio di esplicitarla, raccontarla, palesarla...insegnarla senza cedimenti e il suo fare musica. Le sue "esecuzioni" tentano di essere e spesso ci riescono, la esemplificazione e materializzazione di una poetica, di un modo di concepire il rapporto suono/coscienza umana. Sono sempre in allarme rispetto a chi giudica le sue esecuzioni però poi non dà prova di avere criteri utili a potersene appropriare realmente. E dico questo non per una mia,attribuitami da molti, "venerazione" nei suoi confronti(...ma dimmi tu con che razza di giudizi mi debbo confrontare), ma perché penso che se non hai criteri, o lo giudichi con criteri di dubbia natura e attendibilità, ma cosa caspita penserai mai di averne colto? Non a caso lui invitava chi fosse arrivato a conoscerlo di "vivere vicino" a lui, di fare con lui l'esperienza diretta del suono e della opporunità che questo potesse diventare musica.

CELIBIDACHE e l'INTERPRETAZIONE/4 (per oggi basta). Celibidache contrappone quindi al concetto e alla prassi di "interpretazione", un più attendibile...RICONOSCERE. Cosa c'è di interpretabile in un intervallo di quinta? Nulla. Quell'intervallo trova una diretta corrispondenza nella coscienza umana, ergo, se tu ti doti degli strumenti e dei criteri utili a RICONOSCERE altro da far non v'è. Il compositore, si auspica degno di questo titolo in quanto coscienza pura nell'esercizio di sè, es-preme, butta fuori di sè un prodotto della sua coscienza che ha dignità di esistenza se è dotato di caratteristiche universali, valide cioè per la parte oggettiva di tutte le coscienze umane e poi arriva l'esecutore(non l'interprete) che dotatosi a sua volta dei criteri utili a cogliere questa OGGETTIVITA', le ridà vita sonora e la rende fruibile a tutti. Sembra di una evidenza accecante...e invece? ci tocca ancora combattere contro il narcisismo esasperato di questi disorientati, senza orientamento, interpreti che a tutti i costi vogliono renderci partecipi del proprio disorientamento. No grazie, non mi interessa, o per lo meno, una volta che sei arrivato a questo, non hai più tempo da perdere e cerchi di mettere meglio a frutto il tempo della tua vita cercando esecutori affidabili.
CELIBIDACHE e L'INTERPRETAZIONE/5 - Dopo 30 anni di pratica e didattica fenomenologica musicale il bilancio che ne traggo è sempre lo stesso: la difficoltà grande che le persone incontrano a mettere da parte il proprio narcisismo. Invece di provare a prendere seriamente in considerazione la "sostanza" dell'insegnamento di Celibidache, preferiscono attaccare subito la superficie, insomma buttano via il bambino con l'acqua ( a loro dire....) "sporca" di Celibidache. Faccio un esempio "mirato": c'è chi ne fa una questione di epoche storiche e pensa che la fenomenologia musicale sia applicabile ad alcuni periodi piuttosto che ad altri. La sostanza della fenomenologia è riassumibile in alcuni semplici dati. Se un brano "inizia" e "finisce", inizio e fine sono lì ad attestare che c'è una coscienza umana che ha creato quel brano. Il suono è la materia, la musica la fa la coscienza umana "umanizzando" il suono, avvalendosene, cioè, a fini espressivi uman
i e non lo fa con il rumore. Composto in qualunque epoca, rispondente ad apparenti "principia" differenti di epoca in epoca, alla fine sempre con la coscienza umana dovrà fare i conti. La fenomenologia quindi non ha nulla a che fare, come erroneamente potrebbero pensare...molti, con una prassi esecutiva datata, diventa invece strumento ineliminabile per potersi districare nella ricerca di "senso" che la coscienza attribuisce ai suoni. La concezione barocca degli affetti piuttosto che la tecnica compositiva denominata dodecafonia, non sono che tentativi che l'uomo esperisce per creare apparente interesse dove l'interesse è già presente: la coscienza umana ha l'ultima parola e quel che è interessante allora è capire quali siano gli effetti del suono sulla coscienza e come il suono, di per sè materia "insignificante" possa essere opportunamente "umanizzato" diventando portatore di significato: significato che non ha quindi di per sè ma che gli viene attribuito dalla coscienza umana IN QUALUNQUE EPOCA STORICA AVVENGA QUESTO CONTATTO SUONO/COSCIENZA.

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