domenica 25 luglio 2010

La strada dell'UNO

[altri interventi del M° Napoli in forum]

[...] E' la sempre ripetuta frase di Celibidache che: "il suono non è musica ma può diventare musica".
Che significa ?
Il suono di per sé non è la musica.
La musica si dà quando l'umano, avvalendosi del suono, ritrova, instaura, riconosce, RELAZIONI che trasformano la POLIversalità del materiale in UNIversalità.
Quando dico "intervallo di quinta", in realtà che cosa ho fatto?
Ho trasformato due fenomeni che altro non sono, dal p.to di vista fisico, che il risultato delle vibrazioni regolari di un corpo elastico da me percepiti attraverso una serie di meccanismi e con il concorso di "strumenti" (strumento emettitore, aria che veicola, timpano che vibra per simpatia, ossicini che trasmettono, nervo uditivo che regista, e fino a qui è suono, di per sé non definibile come musica.
Qui arriva la coscienza. Che fa?
Se la fonte erogatrice ha emesso, ad esempio, do e sol, la coscienza invece di lasciarli al loro destino puramente fisico, non potendo fare altro incessntemente, perché così funziona, li mette in relazione, spinta da una sua inesorabile modalità di funzionamento che la porta, colpita dalla molteplicità, a farne un UNO.
Ecco che quelli che erano due fenomeni fisici, che per comodità identifichiamo come do e sol, grazie alla coscienza che li unifica, diventano una sintesi (riduzione fenomenologica nel senso di UNIFICAZIONE) e come tale, essendo la sintesi, il risultato di un lavoro/capacità di messa in relazione (definizione celibidachiana di talento) la definiamo "quinta", ma in realtà che cosa è successo?
Quella molteplicità che era rappresentata da "due" suoni (fenomeno), grazie alla coscienza, diventa un UNO (noumeno) e il suono "scompare" e nasce LA MUSICA.
Allora "battere il tempo" , alla luce di queste considerazioni, cosa vuoi che c'entri con la sicurezza, l'insicurezza, il tactus, o le ragioni apparenti che deriverebbero dalla struttura.
Battere il tempo non ha niente a che vedere con una scansione dettata dal materiale, alla base c'è una nostra ineliminabile necessità derivante dal fatto che per poterci appropriare di qualunque fenomeno esterno a noi, abbiamo bisogno che sia articolato, altrimenti per noi c'è l'indifferenza e il fenomeno, non "cor-rispondendo" alle nostre caratteristiche di appropriazione, resta tale e la nostra coscienza se ne disinteressa.
Il gesto è il veicolatore di ben altro, quindi non è che "attraverso il gesto" esecutori ed ascoltatori...
Certo questa è la sintesi, ma se è sintesi, vuol dire che prima c'è stata, si auspica, una analisi.
Ora quindi, quel gesto esprime: scelte di "ordini di priorità ", scelte di "equilibri", scelte di fattori concorrenti ad esplicitare la forza interna dei fenomeni (la tensione) attraverso la forza "esterna" (la dinamica) di cui il direttore e gli esecutori dispongono, il che porterà poi all'ultima scelta che è quella risolutiva: la scelta del "tempo" di esecuzione quale condizione nella quale la molteplicità possa diventare Unità.
E per arrivare ad operare queste scelte, che strumento "usa" il direttore?
Eh, grazie, ma è proprio questo ciò di cui stiamo cercando di venire a capo, altrimenti si potrebbe pensare che il direttore è un "escogitatore" di gesti utili a far sentire ... sette note.
Fossero questi i problemi, niente è più facile, se tutto si riduce ad un mero "escamotage" tecnico.
Molto più complesso invece è accettare di entrare nell'ordine di idee che fra il gesto e la sostanza c'è assoluta IDENTITA' e allora prima di tutto bisogna ragionare e venire a capo del "che cosa" e questo comporterà inevitabilmente la ricerca del "come" corrispondente.

Domanda: "come facciamo a dire che solo Celibidache "verificatamente ha detto qualche cosa?"

R: verificando. Anche questa risposta è di stampo "metodologico".
A fronte di possibili ipotesi per "verifiche" intendo: anche tu, dotato come ogni umano, di coscienza (che funziona per "contrasti", per "messe a confronto") proprio mettendo a confronto tesi/ipotesi differenti, ti accorgerai che gira e gira, alla fine il prepotente bisogno di UNIficazione (UNIversalità) caratteristica ineliminabile/strutturale della coscienza ti porterà a "riconoscere" ciò che è più pertinente. L'adesione quindi ad una tesi (in questo caso quella celibidachiana) non verrà in quanto una fra le tante, ma perché ... avrai verificato che è vivibile, efficace, (unica vorrei dirlo, ma capisco quanto possa risultare forte).

Decisivi diventano i criteri. Se il criterio è di tipo uman/affettivo (chi non ha bisogno di transfert per "accettare" le tesi di un professore? E allora, anche se temporaneamente, è naturale che lo ritenga IL MAESTRO).
Poi è auspicabile che , una volta interiorizzata la poetica di un maestro, se ne prendano le debite distanze in base a criteri, ordini di priorità, metri di valutazione.
Ora ci sono Maestri che lavorano anche su questo fronte (e Celibidache è stato il Principe di questa metodologia): la ricerca di ordini di priorità e criteri di valutazione. Poi si sottoponevano a ... "svisceramento" fino allo sfinimento, tutte le cose che venivano proposte, a cominciare proprio da quele da lui proposte, quindi non era "questo è così perché lo dico io che sono il Maestro che tu reputi tale e perciò intoccabile"; macché, era: "parliamo di questo" e poi socraticamente (nel senso della maieutica) sviscerare, nel senso letterale del termine, ogni aspetto possibile, e partendo da ogni prospettiva possibile.

D: "Inoltre, se pensiamo a dieci direttori professionisti diversi, ciascuno è convinto intimamente di esprimere la Musica ai massimi livelli! Per continuare nella mia vecchia similitudine, ciascuno si crea una sua geometria (in sé coerente): come facciamo a distinguere tra i sistemi totalmente autoreferenziali (che creano un mondo internamente logico ma assurdo partendo da postulati assurdi) e quelli buoni?"

R: Qui c'è una risposta importante: la tua coscienza sarà la misura, ma sta a te fare un po' di palestra per avere la certezza che la tua coscienza abbia strappato il famoso velo di Maya e sia finalmente "pura" nel rapportarsi. La strada è quella dei "no". Così no, così, no, così no nella speranza che si faccia sempre più strada dentro di te l'unico SI.

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