martedì 16 luglio 2013

Criteri 4

LA SCELTA DEL TEMPO DI ESECUZIONE. Ahi , ahi. Qui la cosa si fa seria. Questo è il criterio principe dei criteri perché sono in grado di notarlo ...tutti. Per tutti intendo la stragrande maggioranza degli ascoltatori di musica che non ha ricevuto alcuna educazione musicale da questo Stato tranne quella modesta infarinatura di termini, e qualche data, che sarebbe l'educazione musicale impartita nella scuola media.

Mettendo a confronto esecuzioni diverse di uno stesso brano percepiscono immediatamente quale sia quello eseguito "più veloce" rispetto a quello "più lento". Purtroppo, però, chi mai si è premurato di spiegare a questi cosa sia il ...tempo in musica? Nessuno. Tant'è vero che i più usano indifferentemente i termini "tempo" e "velocità" come se fossero, praticamente, la stessa cosa.

Se passiamo agli studenti di musica di Conservatorio e facciamo anche qualche rapido sondaggio fra docenti e professionisti, anche qui, purtroppo, perlopiù è o incomprensibile farfugliamento o decisamente scena muta per quanto riguarda la capacità di chiarire cosa si intenda per...tempo...in musica.

Eppure la scelta del tempo di esecuzione è la scelta prima ( ...ma anche ultima se teniamo conto di quanto scritto in CRITERI 3, "fine contenuta nell'inizio"). Soltanto a seguito della scelta operata potrai iniziare ad emettere suoni cercando magari di farli diventare musica.

Il tempo , in musica, non è una misura come la velocità ( tot eventi in un dato tempo, ad esempio 100 chilometri in un'ora) bensì una CONDIZIONE, quella che mi consente da una molteplicità di accadimenti di arrivare a fare un UNO. Questo da cosa deriva? Dalla nostra natura, bisogna farsene, mo' ci vuole, "una" ragione. E questo come si realizza? Quando arriviamo a cogliere la relazione che esiste fra la fine e l'inizio e viceversa. Anzi ci sarebbe da chiedersi, nel corso di un brano di musica, quale momento non viva della relazione strettissima con la fine e con l'inizio. Ogni battuta, infatti, in che cosa trova la sua ragion d'essere se non quale conseguenza di ciò che l'ha preceduta e premessa per ciò che la seguirà?

Sembra quasi scontato, ma la confusione oggi è tale per cui specialmente dalla scelta dei tempi di esecuzione si capisce benissimo che regna il massimo del disorientamento. Quanti esecutori fanno mente locale a questo tipo di considerazioni per arrivare alla scelta del tempo "GIUSTO" di esecuzione?
Le prassi correnti sono varie: a) imitare il tempo scelto da altri. Si mette un disco dell'"interprete" che ..."... piace" e poi si tenta di attenervisi. b) Usare il metronomo attenendosi all'indicazione ove prescritta. c) Fare "tesoro" dei propri limiti esecutivi: si cerca il famoso "specchietto". Si intende per specchietto quel punto del brano che risulta di difficile esecuzione tecnica e si adotta come "tempo" generale del brano quello al quale quel determinato punto risulta eseguibile. d) "così me l'ha insegnato il mio maestro" (sic!)

Ora proverò invece a proporre qualche stimolo per riflettere, specialmente per i non addetti ai lavori, così quando assisteranno ad un concerto avranno , spero, qualche criterio in più per orientarsi.

Il primo elemento col quale un esecutore deve necessariamente fare i conti è l' ACUSTICA del luogo nel quale avviene l'esecuzione. Se è un'acustica "lenta", ad esempio una cattedrale nella quale un suono una volta emesso ci mette più di 3 secondi per estinguersi, allora una esecuzione musicale sarebbe di fatto "impossibile". Il tempo di esecuzione andrebbe talmente rallentato da rendere praticamente impossibile cogliere il nesso che lega un evento con il successivo.
Se invece siamo in una acustica secca, un ambiente cioè che per presenza di un eccesso di elementi fono assorbenti, tende ad estinguere il suono in un tempo brevissimo diciamo meno di un secondo e mezzo, in questo caso il tempo di esecuzione dovrebbe essere talmente rapido che sarebbe praticamente impossibile ..."avere il tempo" di cogliere il nesso fra un fenomeno e il successivo.
Una "buona" acustica è quindi quella che permette agli armonici ( si tratta di fenomeni collaterali che si formano come sub-vibrazioni del suono fondamentale derivanti dal suddividersi della corda quando vibra) di manifestarsi senza che questo comprometta il nesso fra un fenomeno e il successivo.

Cosa deduciamo da queste semplici ma concrete considerazioni: il tempo in musica non è una "misura" ma una CONDIZIONE, quella che mi permette , in base alla quantità di materiale messo in essere dal compositore, di cogliere il nesso che lega fra loro i fenomeni. "Poco" materiale---> tempo rapido, "molto" materiale----> tempo lento. Ovviamente queste due espressioni lento e rapido si possono usare soltanto per chiarire meglio il concetto perché in realtà nell'uno e nell'altro caso si tratterà soltanto di tempi...GIUSTI relativi alla quantità di materiale.

Piccolo ulteriore chiarimento: poco o tanto materiale che significa? Se in un brano abbiamo molti cambi armonici, molte figurazioni rapide è evidente che ci troviamo difronte ad un ...ADAGIO, se viceversa vengono toccati soltanto i gradi armonici fondamentali ( I - IV - V ) , quasi sicuramente siamo in presenza di un ...ALLEGRO.

Due frasi-stimolo di pensiero per concludere:
"in un Allegro di sinfonia bisogna toccare soltanto i gradi fondamentali (I - IV - V ) - J.Haydn -

"Dans la lenteur il y a la richesse" [ Nella lentezza c'è la ricchezza] - S.Celibidache -

Nessun commento:

Posta un commento