LA SCELTA DEL TEMPO DI ESECUZIONE. Ahi , ahi. Qui la cosa si fa seria.
Questo è il criterio principe dei criteri perché sono in grado di
notarlo ...tutti. Per tutti intendo la stragrande maggioranza degli
ascoltatori di musica che non ha ricevuto alcuna educazione musicale da
questo Stato tranne quella modesta infarinatura di termini, e qualche
data, che sarebbe l'educazione musicale impartita nella scuola media.
Mettendo
a confronto esecuzioni diverse di uno stesso brano percepiscono
immediatamente quale sia quello eseguito "più veloce" rispetto a quello
"più lento". Purtroppo, però, chi mai si è premurato di spiegare a
questi cosa sia il ...tempo in musica? Nessuno. Tant'è vero che i più
usano indifferentemente i termini "tempo" e "velocità" come se fossero,
praticamente, la stessa cosa.
Se passiamo agli studenti di
musica di Conservatorio e facciamo anche qualche rapido sondaggio fra
docenti e professionisti, anche qui, purtroppo, perlopiù è o
incomprensibile farfugliamento o decisamente scena muta per quanto
riguarda la capacità di chiarire cosa si intenda per...tempo...in
musica.
Eppure la scelta del tempo di esecuzione è la scelta
prima ( ...ma anche ultima se teniamo conto di quanto scritto in CRITERI
3, "fine contenuta nell'inizio"). Soltanto a seguito della scelta
operata potrai iniziare ad emettere suoni cercando magari di farli
diventare musica.
Il tempo , in musica, non è una misura come la
velocità ( tot eventi in un dato tempo, ad esempio 100 chilometri in
un'ora) bensì una CONDIZIONE, quella che mi consente da una molteplicità
di accadimenti di arrivare a fare un UNO. Questo da cosa deriva? Dalla
nostra natura, bisogna farsene, mo' ci vuole, "una" ragione. E questo
come si realizza? Quando arriviamo a cogliere la relazione che esiste
fra la fine e l'inizio e viceversa. Anzi ci sarebbe da chiedersi, nel
corso di un brano di musica, quale momento non viva della relazione
strettissima con la fine e con l'inizio. Ogni battuta, infatti, in che
cosa trova la sua ragion d'essere se non quale conseguenza di ciò che
l'ha preceduta e premessa per ciò che la seguirà?
Sembra quasi
scontato, ma la confusione oggi è tale per cui specialmente dalla scelta
dei tempi di esecuzione si capisce benissimo che regna il massimo del
disorientamento. Quanti esecutori fanno mente locale a questo tipo di
considerazioni per arrivare alla scelta del tempo "GIUSTO" di
esecuzione?
Le prassi correnti sono varie: a) imitare il tempo scelto
da altri. Si mette un disco dell'"interprete" che ..."... piace" e poi
si tenta di attenervisi. b) Usare il metronomo attenendosi
all'indicazione ove prescritta. c) Fare "tesoro" dei propri limiti
esecutivi: si cerca il famoso "specchietto". Si intende per specchietto
quel punto del brano che risulta di difficile esecuzione tecnica e si
adotta come "tempo" generale del brano quello al quale quel determinato
punto risulta eseguibile. d) "così me l'ha insegnato il mio maestro"
(sic!)
Ora proverò invece a proporre qualche stimolo per
riflettere, specialmente per i non addetti ai lavori, così quando
assisteranno ad un concerto avranno , spero, qualche criterio in più per
orientarsi.
Il primo elemento col quale un esecutore deve
necessariamente fare i conti è l' ACUSTICA del luogo nel quale avviene
l'esecuzione. Se è un'acustica "lenta", ad esempio una cattedrale nella
quale un suono una volta emesso ci mette più di 3 secondi per
estinguersi, allora una esecuzione musicale sarebbe di fatto
"impossibile". Il tempo di esecuzione andrebbe talmente rallentato da
rendere praticamente impossibile cogliere il nesso che lega un evento
con il successivo.
Se invece siamo in una acustica secca, un ambiente
cioè che per presenza di un eccesso di elementi fono assorbenti, tende
ad estinguere il suono in un tempo brevissimo diciamo meno di un secondo
e mezzo, in questo caso il tempo di esecuzione dovrebbe essere talmente
rapido che sarebbe praticamente impossibile ..."avere il tempo" di
cogliere il nesso fra un fenomeno e il successivo.
Una "buona"
acustica è quindi quella che permette agli armonici ( si tratta di
fenomeni collaterali che si formano come sub-vibrazioni del suono
fondamentale derivanti dal suddividersi della corda quando vibra) di
manifestarsi senza che questo comprometta il nesso fra un fenomeno e il
successivo.
Cosa deduciamo da queste semplici ma concrete
considerazioni: il tempo in musica non è una "misura" ma una CONDIZIONE,
quella che mi permette , in base alla quantità di materiale messo in
essere dal compositore, di cogliere il nesso che lega fra loro i
fenomeni. "Poco" materiale---> tempo rapido, "molto"
materiale----> tempo lento. Ovviamente queste due espressioni lento e
rapido si possono usare soltanto per chiarire meglio il concetto perché
in realtà nell'uno e nell'altro caso si tratterà soltanto di
tempi...GIUSTI relativi alla quantità di materiale.
Piccolo
ulteriore chiarimento: poco o tanto materiale che significa? Se in un
brano abbiamo molti cambi armonici, molte figurazioni rapide è evidente
che ci troviamo difronte ad un ...ADAGIO, se viceversa vengono toccati
soltanto i gradi armonici fondamentali ( I - IV - V ) , quasi
sicuramente siamo in presenza di un ...ALLEGRO.
Due frasi-stimolo di pensiero per concludere:
"in un Allegro di sinfonia bisogna toccare soltanto i gradi fondamentali (I - IV - V ) - J.Haydn -
"Dans la lenteur il y a la richesse" [ Nella lentezza c'è la ricchezza] - S.Celibidache -
Nessun commento:
Posta un commento