martedì 16 marzo 2010

Battere il tempo

[collage di commenti di Raffaele Napoli del 2006
N.B.: in molti casi si tratta di discussioni o risposte a domande]

GESTO.
Primo requisito di un bravo direttore è la... "chiarezza della figura".
Che significa ?
Poter rispondere alla domanda: dov'è l'uno?
E nelle varie figure, alla breve triangolo, croce poter avere:
a) alla breve: poter distinguere l'uno dal due e non come nella maggioranza dei casi accade, che sono indistinguibili, in pratica il due ha la stessa ampiezza dell'uno e alla fine non capisci più dov'è l'uno e dov'è il due.
Un esempio: Ravel concerto in sol. Michelangeli, Celibidache. Ultimo movimento. Ecco un esempio di alla breve inequivocabile. Esperimento. Mentre il video continua, anche nelle parti nelle quali Celi non è inquadrato, prova a continuare a contare e ti ritroverai, quando lo riinquadrano perfettamente col suo gesto.
b) triangolo, tempi in tre.
Altro video “da paura” Bolero di Ravel, Celibidache ovviamente. Eh, prova a vedere che cosa è capace di scatenare.
c) croce, tempi in quattro. Altra bella sfida. Va sempre a finire in “pappa”. Non si capisce mai dov’è uno, dov’è due e così via.
Altro esperimento.
Figurazioni “acefale”. Ad esempio: pausa di 16° e tre 16i, pausa di 32° e 7/32i.
Ecco prova a notare chi stia davvero dirigendo: ti accorgerai dell’esistenza di un mondo “parallelo”. Di volta in volta chi è più reattivo in orchestra sopperisce alla mancanza di un direttore o alla presenza di un “non-direttore” assumendosi la responsabilità del famoso “impulso proporzionato”. E allora sarà tutto un pullulare di teste che danno impulsi: fagotto a tutta la fila dei fiati, trombone alla fila degli ottoni, primo violino agli archi, testa del primo contrabbasso alla fila...
SUDDIVISIONI.
Più suddivide e più è cattivo.
TESTA
Alcuni hanno una specie di sindrome da “testa dentro”. In pratica, ad esempio in un 4/4 ad ogni battere... mettono anche la testa (la piegano in avanti a marcare l’uno).
Uso delle dimensioni.
Le dimensioni usabili da un direttore d’orchestra sono le stesse dello spazio tridimensionale nel quale viviamo: su/giù, allargare lateralmente e restringere, profondità (allontanare verso avanti le mani/riportarle in posizione di partenza).
La dimensione più delicata è la profondità (allontanare/avvicinare le mani dal/al corpo). Un cattivo direttore, cosa frequente per indicare ad esempio un pianissimo improvviso, in qualunque punto si trovi, avvicina le mani al corpo.
GINOCCHIA.
Un cattivo direttore piega le ginocchia
BRACCIA.
Un cattivo direttore le muove parallelamente. Ad esempio in quattro: UNO - giù, DUE - tutte e due le braccia verso destra, TRE – tutte e due le braccia verso sinistra... e vaiiiiii.
Appendice: un cattivo direttore fa quello che viene definito “enfatizzare il quattro”.
In una croce (1,2,3,4) nel passaggio dal tre al quattro (in pratica su tutta la durata del tre) fa una specie di vibrazione/movimento (quasi come una sestina di semicrome – tara-tara-tara ) atta secondo lui a indicare meglio... francamente non so che (questi direttori generalmente hanno origini bandistiche).
Ginocchia piegate:
disorientamento in chi suona, il gesto deve ricadere nel punto dal quale è partito, piegare le ginocchia crea una sfasatura fra punto di partenza e punto di arrivo.
Avvicinare le braccia al corpo va usato con moltissima cautela. La dimensione braccia avanti/mani vicino al corpo è quella più "sottile" ed la più diretta rappresentazione dell'interiorità del direttore.
Certamente l'uso improprio più comune è quello di indicare in questo modo il pianissimo.
Generalmente si dice: "la destra batte il tempo e la sinistra è per l'espressione". Non sarei così rigido. qui rispondo: dipende.
Arrivare ad una vera indipendenza fra le due mani passa per un lungo periodo in cui le due braccia devono battere "simmetricamente", non "parallelamente", ovviamente.
Avere la visone generale di una partitura non esime il direttore, (purtroppo?) dal dover anche "battere" il tempo.
Quello che volevo sottolineare è che dovendo ottemperare a quell'obbligo ineliminabile, è bene che questo sia fatto secondo modalità che tengano conto non di una gestualità "simbolica" (ci mettiamo d'accordo su quale gesto fare per indicare...) ma, se conosciuta, sostanziale, unitaria, insomma nella quale fra la sostanza e la... "forma" vi sia identità. Forse così è più chiaro?

Una postilla non da poco è altresì necessaria.
Quando si dice che il compito del direttore è quello di uniformare l'operato dei componenti dell'orchestra alla "sua" visione, qui non sono d'accordo.
Ciò a cui deve tendere il direttore non è alla realizzazione della "sua" visione, ma a come il brano "è" non a come lui pensa che sia, e come è per tutti e con il concorso di tutti. In altri termini questo è il motivo per il quale io scrivo in vari forum, riportare nella giusta dimensione l'esistenza di due termini che agiscono nel far musica: suono e coscienza umana.
La seconda è sempre disattesa, elusa, spesso vituperata, o semplicemente... sconosciuta o ritenuta non partecipe e si parla sempre e soltanto, inesorabilmente di suono.
La battaglie, le schermaglie, le guerre infiammate sulla direzione d'orchestra derivano dalla messa a confronto fra due concezioni:
da un lato quella corrente, definiamola per comodità "interpretativa"; dall'altro quella molto meno frequente che definirei "esecutivo/riconoscitiva. La domanda/sintesi potrebbe essere: cosa c'è di "interpretabile, ad esempio, in un intervallo di quinta (e se consideriamo che un brano di musica alla fine altro non è se non un confronto fra suoni nella orizzontalità - melodia - e nella verticalità -
armonia -) la domanda non risulta come molti sono portati a pensare, peregrina o addirittura "improponibile".
Qui si scatenano da un lato gli storici, i filosofi, gli ermeneuti, insomma quelli ritenuti, a torto secondo me, quelli che della musica "parlano", dall'altra, sentendo minato il loro terreno... "interpretativo"( spesso, purtroppo invece, molto più prosaicamente, "arbitrario" ) alzano la voce coloro che la musica la... "farebbero".
Con assoluta onestà intelletuale e in assoluta aderenza al tema argomento del post Battere il tempo si dice che che serve per: fare andare insieme l'orchestra, farne cogliere agli altri la maggiore "sicurezza", per "sincronia con battere e levare", ma che in fondo, a fronte di altri tipi di scrittura, può avvalesri di altri "ausili" collaterali quali, ad esempio, un cronometro.
Scusate, poi qui spesso si lamenta una mia certa "bastiancontrarietà".
Preciso che quanto sto per dire non deve essere letto come dettato da motivazioni di tipo narcisistico o da "saccente" (giuro che se non sollecitato oltre l'umana sopportazione in tal senso, non farò più accenni a questo aspetto).
Allora: il mio chiedere "da dove deriva la necessità di battere il tempo", auspicava la messa in campo di ragioni non sempre e solo, inesorabilmente dettate dal materiale.
Messa come la mettete voi (che in sostanza è come la mettono tutti ) fa capo solo al fatto che ci sono ragioni strutturali del tutto "interne" al materiale che impongono la necessità di "battere il tempo".
Io invece sposto l'accento sul fatto che gli elementi in gioco nel far musica sono due: il suono e... la coscienza umana.
Il secondo è l'aspetto sempre eluso, disatteso, non tenuto presente.
Ritmo, armonia, metro, melodia, dinamica, agogica, altro non sono se non PROIEZIONI di come funziona la coscienza che se trova un materiale col quale è possibile, per diretta corrispondenza, instaurare un rapporto ed avvalersene per esplicitare se stessa, allora con quello lavora.
Battere il tempo non è una necessità "strutturale" derivante dal brano, ma dalla modalità di appropriazione che l'umano mette inesorabilmente in azione quando si trova al cospetto della molteplicità.
E' perché non posso fare altrimenti, perché la mia coscienza funziona così, che ho bisogno che un fenomeno esterno a me sia ARTICOLATO per potermene appropriare. Allora, battere il tempo, non è ripeto, una necessità dettata dal materiale.
Il materiale di suo, offre solo una "disponibilità" ad essere utilizzato dalla coscienza perché questa vi trova una corrispondenza con le sue caratteristiche.

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